Vorrei dirle che…

“E niente praticamente ero lì coi miei amici, tutto buio, con delle luci. E c’era la musica. Delle canzoni che nemmeno conoscevo. E tutti lì, a ballare e a bere. Entriamo e ci buttiamo anche noi, inizio a ballare un po’ da solo, ogni tanto qualcuno mi si avvicina ma non ricordo molto.

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Discorso di un padre al figlio

Una casa buia illuminata a stento da un focolare acceso. Lo zampillare delle fiamme è quasi ipnotico. Sul tappeto un bambino che avrà si e no 10 anni sta, in silenzio assoluto. Sembra più grande della sua età, in ogni caso. Vicino a lui, un uomo sulla quarantina lo guarda, ammirando la meraviglia che è il vedere di fronte a sè il frutto del proprio lavoro come padre e, in generale, come uomo. Il fuoco illumina la stanchezza del suo sguardo, la freddezza delle sue pesanti rughe. Sembra più vecchio della sua età, in ogni caso.

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Odio

E urla, Karla. Grida come non ha mai fatto in tutta la sua vita. Caccia via dal corpo tutta l’aria e tutte le parole che può; guarda negli occhi quello STRONZO. Lo guarda nei suoi occhi, nei suoi stupendi occhi, quasi si perde di nuovo nell’incanto che è il suo viso. Eppure lo odia. Sa di essere piena di odio, ne è ricolma, di odio. Non riesce a sopportarlo, non riesce a capire come sia possibile. Come può, un angelo, essere così stronzo?!

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Non ci capisco niente

Non ci capisco niente.
No cioè. In realtà non ci ho mai capito niente.
Non ho mai capito perché sono nato qui. Perché in questa campagna. Perché in questa famiglia povera. Perché non in città? Magari avevo una TV, e quest’ora starei vedendo i cartoni.

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Faccende di casa

Asciutto.
Il pavimento asciutto, ormai. Mario aveva pulito tutto, a terra.
Meticolosamente, con precisione. Aveva preso una scopa e aveva iniziato a pulire a terra e lentamente- come se non avesse avuto altro da fare- aveva tolto tutto dal pavimento. Posò la scopa e si asciugò la fronte.

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