BlogTour: Donne di Ginepro
Quarta tappa – 25 novembre 2024
Protagonista onnipresente nel libro, è la società.
Una società contadina, semplice, eppure giudicante e, in alcuni casi, capace di condannare senza riserbo, specie quando il condannato è così diverso dalla moltitudine. Una società femmina, ma saldamente ancorata ai dettami del patriarcato, che lava i panni sporchi nell’ombra delle mura domestiche perché porta male esibirli in pubblica piazza, che biasima la donna abusata perché “probabilmente” ha aizzato essa stessa il cane che l’ha morsa, che muove la lingua per il solo gusto di fomentare il pettegolezzo, salvo poi inorridire davanti al mostro che ha contribuito a creare. Una comunità che, per non soccombere a se stessa, sceglie e invita a scegliere il male minore e aborrisce il cambiamento in ogni sua forma. Lontana anni luce da quella attuale, fortunatamente, ma ancora troppo simile a noi, specie in certi contesti.
Allo stesso tempo, ritroviamo nel paese la solidità dell’aiuto reciproco, la partecipazione collettiva che lenisce il dolore privato, il vicinato inteso come famiglia allargata, capace di infondere in una bambina come Caterina strumenti di tale forza al punto che, da adulta, nonostante le tristi vicissitudini, troverà la sua strada. C’è la saggezza tramandata degli anziani, la gioia condivisa delle feste paesane. Tutti elementi, questi, difficili da ritrovare oggigiorno in altri ambienti, ma ancora radicati alla base della società sarda.
Il personaggio simbolo dell’ aspetto corale di “Donne di ginepro” è tziu Giuanni, la memoria storica del villaggio, che racconta nei suoi muttettos la vita e la morte, l’oblio e la rinascita, con lo stesso ritmo altalenante delle stagioni.
Il pregiudizio.
Dal latino praeiudicium, “prima del giudizio”. Nel diritto romano, azione giuridica precedente al giudizio, e tale talvolta di influire sulle decisioni del giudice competente (Treccani).
In “Donne di ginepro”, molte delle azioni compiute dai protagonisti sono viziate dal pregiudizio, che mina non solo la loro capacità di discernimento, ma quella di tutte le persone intorno. Un pregiudizio basato sostanzialmente su opinioni nate in seno al patriarcato, che ostacolano la possibilità di decidere e scegliere in base alle proprie reali necessità, condito da una buona dose di superstizione e ignoranza. Un matrimonio riparatore, la presunta follia di Anna che nasconde uno stupro e libera lo stupratore da ogni responsabilità, l’uccisione del figlio del peccato sono solo alcuni esempi di azioni intraprese esclusivamente per accomodare ciò che la moltitudine considera un affronto al decoro pubblico.
La volontà del padre di Celeste di mandarla in collegio perché “un uomo non può badare a una bambina” altro non è che la risposta alla credenza che la cura dei figli fosse esclusiva delle madri. Anna, Celeste e Caterina dovranno lottare per non piegarsi alla volontà del paese e per non commettere gli stessi errori, ma anche per sconfiggere la diffidenza di chi scorge in loro una diversità che le trasforma agli occhi del popolo in coghe, pazze, prostitute. Allo stesso modo, viene riconosciuto al fato una sorta di giudizio divino che trascende il pregiudizio, il karma grazie al quale vengono puniti i gravi peccati che gli uomini non sono in grado o non vogliono condannare, che riequilibra in un certo senso la fallibilità del giudizio umano.
Come ho accennato anche sopra, in “Donne di ginepro” la famiglia non è soltanto quella biologica, così come l’essere madre trascende dal concepimento e assume contorni universali di cura, sacrificio, amore filiale, insegnamento. Le protagoniste nascono in seno a famiglie comuni, in alcuni casi poverissime, dove subiscono abusi di vario genere o sono spettatrici forzate di violenze che producono ferite difficili da sanare. Guarire sembra impossibile, e solo la certezza di un rifugio sicuro darà ad Anna, Caterina e Celeste la possibilità di salvarsi. Famiglia diventa perciò il legame tra le bambine e la precettrice, e quest’ultima sperimenta una maternità d’intenti, nel suo prodigarsi per crescere le figlie che il destino le ha assegnato, pur non avendole generate dal suo ventre.
In “Donne di ginepro” in realtà ho voluto omaggiare anche un altro tipo di famiglia, tutt’ora presente nelle comunità sarde anche se in misura minore rispetto a quei tempi, costituita non solo da padre, madre e figli, ma da quelli che noi chiamiamo “areus” e comprendono la parentela allargata, nonni zii e cugini di ogni grado. Ma anche i vicini, la gente del quartiere, gli anziani diventavano a tutti gli effetti famiglia. Erano loro a crescere i bambini nei cortili e per strada, erano presenti a dare una mano durante i parti o i funerali. Erano parte attiva nei contesti familiari e rappresentavano un punto fermo, su cui poter contare in caso di difficoltà. Nella lingua sarda non a caso usiamo il termine “tziu, tzia” a prescindere dal legame di sangue.
Articolo a cura di Maena Delrio, autrice del romanzo “Donne di ginepro”. Link di collegamento: https://www.npsedizioni.it/p/donne-di-ginepro-maena-delrio/