Un po’ Beat e un po’ no – Jack Kerouac e Rino Gaetano

– Premessa a Cecità di Josè Saramago

“Cos’è quella sensazione che si prova quando ci si allontana in macchina dalle persone e le si vede recedere nella pianura fino a diventare macchioline e disperdersi? È il mondo troppo grande che ci sovrasta, è l’addio. Ma intanto ci si proietta in avanti verso una nuova folle avventura sotto il cielo.” (Sulla strada – 1957)

Ho iniziato a leggere, da poco, Sulla strada di Jack Kerouac, un libro che travolge, la cui storia trasuda di irrequietezza e solitudine. Si corre tra le pagine e sulla strada, mentre intorno tutto scivola via, tutto si sfalda, tutto crolla, e si rimane a guardare la devastazione, incapaci di agire. Kerouac, o se vogliamo il suo alter ego letterario Sal Paradise, è affamato, ha una fame insaziabile di vita e parte, senza sapere dove andare, senza sapere cosa fare. Parte insieme al suo amico Dean (nella realtà Neal Cassady), che incarna tutta la decadente euforia di una generazione persa, che fugge da se stessa, per non ritrovarsi mai.

Copertina dell’ultima edizione italiana di ‘Sulla strada’.

Talmente grande è il senso di vuoto e spaesamento che pervade le pagine tormentate di questo libro, che ho avuto io stessa la necessità di scrivere, prima ancora di averlo finito di leggere.

Mi metto a correre insieme a Sal e Dean, figlia della strada anche io.

Scrivo queste poche righe mentre la pioggia minaccia la notte, con la musica accesa, bassa bassa per non disturbare, ma con grande ritmo. Ascolto Rino Gaetano. Sono due giorni che non faccio altro che leggere Kerouac e ascoltare Rino Gaetano, e mi accorgo di come siano simili. Entrambi Beat. Il Beat di Rino è in tutte le sue canzoni, così sofferte e amare, così irriverenti e sincere, così essenzialmente originali. Il Beat di Kerouac è in tutte le sue parole, che scivolano una dietro l’altra, senza tregua, e colpiscono il lettore come sassi. Fanno male, a volte. Fanno così male che si fa fatica a leggere. Eppure si va avanti e si conosce la vita.

Anche nelle canzoni di Rino Gaetano, dietro ai ritornelli facilmente orecchiabili, si nasconde il dolore di chi vede, di chi riesce a guardare oltre il velo delle convenienze e delle ipocrisie, ma proprio per questo rimane solo, incompreso, deriso ed escluso.

"Ma ci ripenso però
Mi guardo intorno per un po’
E mi accorgo che son solo
In fondo è bella però
la mia guerra e io ci sto" 
(E io ci sto - 1980)

"Chi mi dice ti amo?
Se togli il cane
Non rimane che gente assurda
Con le loro facili soluzioni "
(Escluso il cane – 1977)

"Mio fratello è figlio unico
Sfruttato, represso, calpestato, odiato
E ti amo Mario"
(Mio fratello è figlio unico – 1976)

In tante canzoni di Rino, si ritrova anche la strada (Michele ‘o pazzo è pazzo davvero; E cantava le canzoni; Sombrero; Ma il cielo è sempre più blu; Ad esempio a me piace il sud; Metà Africa, metà Europa), la strada della vita di chi non ce la fa e di chi è abbandonato. Nella storia di un pazzo o di un migrante ritroviamo tutto lo sconforto dell’incomprensione che ognuno di noi vive, almeno una volta nella vita. Le parole gridate al vento e i sogni delusi di Ti ti ti ti sono ugualmente un manifesto di disillusione, sono un canto disperato per orecchie che non vogliono sentire. Dopo più di quarant’anni è cambiato poco o niente e, forse, è sempre più eterea la speranza che ci aspetta alla fine della strada, tra sguardi vuoti e pensieri assopiti, intorpiditi e stanchi.

"A te che hai progettato un antifurto sicuro
A te che lotti sempre contro il muro
E quando la tua mente prende il volo
Ti accorgi che sei rimasto solo"
(Ti ti ti ti – 1980)

La generazione Beat di Kerouac era spaesata, subito dopo la guerra, in un’America immensa, che non poteva prendersi cura di tutti i suoi figli. Anche la generazione di Rino Gaetano era, in un certo senso Beat, perché il caos politico di un’Italia frivola ed egoista risvegliava le piazze, c’era rabbia e sogno di riscatto.

Cosa è rimasto oggi di tutto questo? Che generazione è la nostra? Non più Beat, non più ribelle, sicuramente smarrita e fragile, perfettamente inserita nell’ingranaggio di una catena di montaggio infinita. È una generazione annoiata, alienata, disperata e tradita.

Rino Gaetano, visionario e profeta, scriveva queste parole:

"Io scriverò perché ho vissuto anche di espedienti
Perché a volte ho mostrato anche i denti
Perché non potevo vivere altrimenti.
Io scriverò sul mondo e sulle sue brutture
Sulla mia immagine pubblica e sulle camere oscure
Sul mio passato e sulle mie paure"
(Io scriverò – 1979)

Con questi versi ha manifestato la sua incontenibile necessità di raccontare, nonostante tutto e tutti. Tra le figure che Rino Gaetano canta si cela l’essere umano, nelle sue sembianze più grottesche (Hominem pagina nostra sapit – le nostre pagine raccontano l’uomo – diceva Marziale, che era un po’ il poeta Beat nel crepuscolo dell’impero romano).

Cosa avrebbe scritto Kerouac oggi? Avrebbe fatto il suo viaggio? O sarebbe rimasto in trappola, seduto comodamente su un divano con un cellulare in mano e un orologio al polso?

Cosa avrebbe cantato Rino oggi? Avrebbe trovato la forza per combattere da solo, in uno sforzo titanico, le ingiustizie e i soprusi? Oppure avrebbe scelto, magari, di rimanere in silenzio, senza più parole per narrare lo scempio dei nostri giorni?

Rino Gaetano.

Dov’è finito il pensiero Beat che risveglia le coscienze con il suo ritmo martellante?

Non so dire se nel futuro ci sarà ancora qualcuno in grado di vedere il disfacimento della società umana. Forse non ci si accorgerà più nemmeno dell’ombra buia che sta scendendo su di noi, la accoglieremo felici e inconsapevoli e, presto, finiremo tutti per essere ciechi, scambiando l’oscurità per una bianca luce abbagliante.

To be continued