La macchina del tempo di H.G. Wells – recensione

E torna a scrivere per noi la bravissima Valeria D’Annibale autrice del libro di poesie Sotto i cieli di Roma di cui abbiamo scritto una piccola recensione! Ecco la sua recensione del romanzo La macchina del tempo di H.G. Wells!

La parola alla nostra amica Valeria D’Annibale!

“Non c’è alcuna differenza fra il Tempo e ciascuna delle tre dimensioni dello Spazio, se non per il fatto che è nel Tempo che la nostra coscienza si muove.”

La macchina del tempo di H.G. Wells
La macchina del tempo di H.G. Wells

Ho deciso di leggere questo libro dalla copertina. L’ho trovato per caso in libreria: il blu intenso, che avvolge un orologio lattiginoso in cui le lancette sono due braccia umane, ha catturato la mia attenzione. Il titolo anche mi è piaciuto. Poi ho sfogliato il libro, piccolo e leggero e non massiccio come mi sarei aspettata per la storia di un viaggio nel tempo. Ho letto poi la breve descrizione nella quarta di copertina, mi ha convinto del tutto e l’ho preso.

H.G. Wells è considerato come uno dei padri della fantascienza e ha scritto nel 1895 ‘La Macchina del Tempo’ a puntate sulla rivista ‘New Review’.

La struttura della storia è semplice, essenziale, con un’introduzione che definisce il contesto della vicenda, seguita dalla parte più corposa del racconto, in cui viene narrato il viaggio nel tempo, per arrivare, infine, alla conclusione, che degrada amaramente in un epilogo sospeso, che lascia il lettore insoddisfatto, aggrappato a una debole speranza.

Il protagonista è il Viaggiatore del Tempo, a cui calza a pennello l’immagine dello scienziato che ci portiamo dietro dal fenomenale Doc di ‘Ritorno al futuro’ di Robert Zemeckis. H.G. Wells, inoltre, che ha studiato all’università biologia e zoologia, arricchisce di teorie scientifiche le parole del Viaggiatore che rendono credibile tutto il suo entusiasmo per l’esplorazione del tempo, la quarta dimensione in cui viviamo, all’interno della quale, però, non sappiamo muoverci liberamente.

Doc di Ritorno al futuro
Doc e Marty di Ritorno al futuro

Il Viaggiatore è mastodontico nel modo in cui si esprime, invade la pagina, e gli altri personaggi sono del tutto inconsistenti, per nulla all’altezza, piccole macchie che fanno da cornice al protagonista. L’unico a lasciare un segno è il narratore, attraverso le cui parole il lettore assiste al viaggio nel tempo. Questo personaggio, di cui non si sa nulla, è, tuttavia, rilevante, perché il suo racconto non è imparziale e, a differenza di tutti gli altri ospiti, crede fermamente che il Viaggiatore stia dicendo la verità, indirizzando così il punto di vista da cui leggere la storia.

Il Viaggiatore, a cui il narratore cede la parola, racconta ai suoi ospiti, seduti attorno a un tavolo, il suo viaggio nel tempo.

Ci troviamo nell’anno 802701, ma non assistiamo all’apice dell’evoluzione dell’uomo, come ci aspetteremmo. Il Viaggiatore si trova davanti a creature deboli e fragili, difficilmente identificabili come gli eredi degli uomini, simili a bambini, tutti uguali e felicemente inconsapevoli e spensierati. Non hanno interessi particolari, se non giocare nell’acqua del fiume e ridere scioccamente per tutto. Non provano la minima paura, non si fanno domande e lo accolgono nella loro idilliaca realtà. Questi discendenti lontanissimi degli uomini sono chiamati Eloi. Il Viaggiatore si trova costretto a vivere con loro perché nella notte del suo arrivo sparisce la  macchina del tempo e non sa come ritrovarla per tornare indietro. Impara la loro lingua e, dopo qualche giorno, salva Weena, che si affeziona a lui come un bambino alla mamma, riempiendolo di baci, carezze e fiori.  Il mondo in cui vivono gli Eloi sembra piatto, a due dimensioni, un disegno ad acquerelli pronto ad essere spazzato via dall’acqua. E infatti, una minaccia mostruosa cova nell’ombra di questa sdolcinata Arcadia, i Morlock, l’altra faccia dell’umanità perduta, esseri mostruosi che non sopportano la luce, ma che salgono nelle notti senza luna a cacciare e divorare gli indifesi Eloi. La dicotomia sociale del futuro è frutto dell’esasperazione di una classe di sfruttati, esclusi, emarginati, spinta sempre più a cadere in basso e a vivere sottoterra, nell’ombra (e qui l’autore critica le ingiustizie sociali del proprio tempo) e di una classe talmente sovrabbondante di agi, lusso e vizi, da diventare frivola e inutile. L’umanità, probabilmente, dopo aver raggiunto il suo culmine ha iniziato un declino a doppio senso, uno verso la barbarie più feroce, di uomini che si cibano di altri uomini, e uno verso la stupidità assoluta, senza più possibilità che queste due sottospecie possano nuovamente contaminarsi e vivere in armonia. Il Viaggiatore (e anche il lettore) rimane allibito, davanti allo scenario a cui, inerme, assiste. Non può fare nulla. Si è spinto troppo oltre e ha superato il limite dell’umano, dove l’uomo come lo concepiamo noi non esiste più. Gli Eloi, non conoscono neppure la scrittura. Il cammino verso l’involuzione è senza pietà e siamo costretti ad esserne testimoni, a meno di chiudere il libro e lasciar perdere la storia. I sentimenti che attraversano il lettore sono contrastanti e si prova un senso di nausea che spinge ad andare avanti, solo nella speranza che qualcosa di salvifico possa accadere.

Come è facile immaginare, il Viaggiatore non riesce a ritrovare la sua macchina, la notte senza luna arriva e con essa arrivano i Morlock. Il fuoco diventa l’unica arma di difesa e il Viaggiatore riesce a servirsene grazie a una scatola di fiammiferi che aveva in tasca. Il fuoco, archetipicamente come nel mito di Prometeo, è il simbolo dell’umanità che resiste e si fa forte, illuminata dalla luce della conoscenza. Gli Eloi non hanno idea di cosa sia e Weena  ci gioca, danzando con le fiamme.

Ritorno al futuro
Ritorno al futuro

Nella notte il Viaggiatore riesce a salvarsi dai Morlock e a riprendersi la sua macchina del tempo. Weena muore, dispersa nel bosco in fiamme e il Viaggiatore riparte. Ma non è sazio. Come Icaro va oltre. Si spinge ancora di più ai confini dell’esistenza, più avanti nel tempo, e assiste desolato e impaurito a una terra in cui, dell’uomo, non è rimasta traccia. Solo a questo punto decide di tornare indietro.

E così finisce il racconto del Viaggiatore e riparte quello del narratore, a cui spetta l’arduo compito di concludere la storia (e lo fa egregiamente, regalando a chi legge l’unica scintilla di speranza per il destino della nostra specie).

Il Viaggiatore parte di nuovo, questa volta armato di fotocamera e zaino, ma non farà mai più ritorno, perduto nel tempo chissà quando, chissà dove, forse per scelta, forse punito da qualche dio lontano per la hybris di aver compiuto un’impresa titanica.

E sta a noi, uomini del futuro, custodire la scintilla di umanità che ci distingue dagli animali, quel fuoco alimentato da conoscenza, storia e cultura che ci portiamo dentro e che non possiamo permetterci di  dimenticare. Se la luce si spegne, il buio della ragione è lì, in agguato, a generare mostri.

Non riesco a definire come bello questo libro, perché il senso di desolazione e vuoto che trasmette è quasi disumano. Tuttavia, leggere le sue pagine consente di dare uno sguardo verso cosa può degenerare il destino dell’umanità, offrendoci un po’ di tempo di vantaggio, per invertire la rotta ed evitare il naufragio.