Il Paladino cap. 2 – La difesa di Southshore parte 1

Sentivo in lontananza grida di uomini, non grida di paura, ma grida di battaglia. Sentivo lo stridio delle lame, gli zoccoli dei cavalli e il loro nitrire. Aprii gli occhi: non ero morto, non ero in paradiso. Gettai un rapido sguardo intorno: mi trovavo in un letto, mezzo svestito e tutto bendato, in una piccola stanza composta dal mio letto, appunto,due comodini e un armadio; c’era anche una grande finestra da cui veniva una luce grigiastra perché c’erano grossi nuvoloni grigi, ma non pioveva: sicuramente era pomeriggio e non mattina.

Naemor PODCAST de Il Paladino

E poi in lontananza si sentivano queste urla di guerra. Era chiaramente in corso una battaglia ma mi domandavo se però questa ci fosse soltanto nella mia testa oppure a qualche chilometro di distanza. Provai ad alzarmi dal letto, e non sentii alcun dolore…strano. Allora mi affacciai:la finestra dava su una strada pietrosa, dove si affacciavano altre finestre di altre case. Ma di uomini o battaglie neppure l’ombra, sembrava anzi tutto tranquillo. Guardai il cielo, carico di nubi e pioggia che però non voleva ancora rilasciare. Poi ricordai: Shadowfang, Relhiar, le mie ferite…che fine avevano fatto? Mi sentii improvvisamente agitato, fin quando non si spalancò la porta alle mie spalle. Mi voltai di scatto, e fu allora che sentii che i miei muscoli erano ancora deboli.
“Oh, vedo che ti è ripreso, finalmente!” disse uno gnomo, un po’ calvo e robusto con due baffi molto buffi che aveva letteralmente spalancato la porta con un calcio.
“Dove mi trovo?” fu la prima cosa che dissi.
“Siediti. Mi presento, sono Alarth, medico di Southshore addetto ai feriti di guerra, e ti trovi qui in quanto ferito di guerra, ahaha” disse ridendo. Sembrava un tipo allegro e spensierato…come potesse occuparsi di guerra un tipo così non l’ho mai capito.
“Southshore??Siamo a Southshore? Eppure io sapevo che era stata distrutta!”
“Devi aver perso qualche puntata…”
“Un momento, da quanto tempo mi trovo qui?”
“Bella domanda, sei qua da ben 14 giorni! E non ha fatto altro che dormire! La stessa Dama d’Oro ti ha portato qui, e mi ha detto di guarirti e rimetterti in sesto. Ti ha portato piuttosto malconcio da Shadowfang: due frecce conficcate nel torace, un’ascia piantata in una coscia e un braccio malridotto! Temevamo il peggio, sono stato quasi sette giorni con erbe e pozioni e bendaggi, ma anche grazie alla tua resistenza sei ancora tra i vivi!”
“Chi è questa Dama d’Oro? E com’è finita la battaglia di Shadowfang?”
Fu allora che un corno risuonò nell’aria.
“Diamine! Stanno attaccando, devo correre a soccorrere i feriti!” disse lo gnomo guardando verso la finestra.
“Ma questo è il corno delle truppe di Rashiak! Lo riconoscerei tra mille! Signor Alarth tornerò a far quattro chiacchiere più tardi perché ho un mucchio di domande che mi frullano in testa” dissi mentre iniziai a mettere sottosopra la stanza alla ricerca della mia armatura “ma ora devo andare!”
“Aspetta tu non puoi ancora andare sei debole!”
“Dov’è la mia armatura?”
“E comunque c’è la Dama d’Oro, nulla di cui preoccuparsi!”
“La mia armatura!!”
“E va bene, non c’è speranza vedo..” aprì l’armadio ed estrasse un’armatura, del tutto nuova per me.
“La tua era messa piuttosto male, così non so chi te ne ha forgiata una tutta nuova”
“Come non so chi?” domandai mentre iniziai ad armarmi, vidi inoltre che la mia amata spada e il mio amato scudo erano ancora li.
“No è che non ricordo il nome…tutto strano, iniziava con una R forse…”ma non fece in tempo a finire la frase che lo scavalcai e corsi via: scesi le scale che portavano al piano inferiore di quella che sembrava una taverna e uscii. Notai che la taverna era si tranquilla, ma che era stata messa a soqquadro, molto probabilmente, dai cittadini che, una volta venuti a sapere della battaglia avevano lasciato tutto per andare ad armarsi oppure barricarsi in casa. Comunque, mi ritrovai lungo la via che avevo visto dalla finestra e il senso di vuoto che mi stava sempre più opprimendo mi faceva agitare parecchio, sommati allo stridio delle lame, che giungevano da lontano, e alle urla. Dovevo assolutamente sapere dove si stava svolgendo la battaglia, così pensai di salire sulle mura tramite una di quelle scale che usano le sentinelle per salire e scendere quando fanno i cambi di guardia. Salii quindi sulle mura e guardai la cittadella. La battaglia era in corso praticamente dal lato opposto a dove mi trovavo io, e riuscivo a vedere già centinaia di cadaveri. Gli umani erano in netta difficoltà, ma si battevano bene e valorosamente: vidi che c’era un arcimago, in groppa al suo cavallo, ma l’avevo riconosciuto solo perché dal suo bastone partivano incantesimi impressionanti: con un sol colpo spazzava via intere schiere di ghoul. Poco più in là sgranai gli occhi vedendo che per la prima volta Rashiak in persona combatteva in prima fila: non c’era un minuto da perdere. In genere questo signore delle tenebre rimaneva sempre nelle retrovie, perché sicuro del successo dei suoi guerrieri: nonostante ciò sapeva combattere molto bene, e si dice che solo nelle battaglie decisive avanzasse in prima fila a combattere. Corsi sulle mura fino al luogo della battaglia, e mentre correvo mi tornò nitida l’immagine di mio fratello che tentava di raggiungermi facendosi largo tra i ghoul, pensando che fossi morto: iniziai a piangere di rabbia, perché adesso stavo riacquistando man mano la memoria, a cui non avevo dato modo di sgorgare perché avevo pensato, fin dal risveglio, a quella battaglia. Arrivai nel luogo dello scontro, e escogitai un piano: trovandomi sulle mura ero praticamente al di sopra dei due eserciti, i quali non notarono la mia presenza. Invocando la forza della luce, e pieno di rabbia, saltai direttamente tra i non-morti; erano così tanti infatti che taluni aspettavano quasi in fila il loro turno per combattere, perché chiusi dalle mura protettive e dai loro stessi compagni erano praticamente bloccati l’uno con l’altro; il mio intento era quello di spezzare in due parti l’esercito nemico, ma era un piano folle, poiché ero da solo. Saltai, quindi, nel cuore dei nemici al di fuori delle mura e con un urlo iniziai a macellare truppe ma questo sforzo, in seguito, mi costò caro perché tornarono a galla le ferite della battaglia di Shadowfang. Iniziai anche a urlare cose insensate, del tipo: “Questo è per Relhiar!” e facevo fuori un ghoul, “Questo è per Uther!” e ne uccidevo un altro. Insomma, rabbia e luce stavano guidandomi ciecamente in quella pazza impresa, fin quando Rashiak mi notò.
“Tu! Sei ancora vivo! Non è possibile!” urlò.
“Vieni qua, lurida bestiaccia, vendicherò mio fratello e i miei uomini! Vieni qua e affronta la morte in persona!”. Non erano parole propriamente da paladino, ma era noto che non ero un paladino pacato come altri, seguivo il mio istinto e in guerra ero guidato dalla rabbia. In seguito poi, ho corretto questo mio difetto.
Subito mi diressi verso di lui, facendomi strada tra i ghoul a suon di colpi di scudo e inziai ad attaccarlo: parò con difficoltà i miei colpi, fin quando uno di questi lo fece cadere a terra. A quel punto tesi il mio braccio destro in basso, concentrando la forza della luce la, e pian piano si formò un martello, un martello colmo d’ira.
“ADDIO” urlai, scagliandogli il martello a pochi metri dalla faccia. Seguì un’esposione che coinvolse anche me, ma che mi scagliò solo pochi metri più dietro rispetto a dove mi trovavo. Mi alzai subito e ripresi a combattere con furia immensa. Mi trovavo così praticamente nel bel mezzo dell’accampamento nemico, creato provvisoriamente per l’assedio. L’improvvisa e veloce morte del loro capo sbandò i nemici, molti dei quali si diedero alla fuga. Dall’altro lato, l’arcimago aveva assistito a tutte le mie azioni: con rapidi balzi del suo destriero e facendosi strada tra i ghoul con i suoi incantesimi arrivò da me, che intanto me la stavo vedendo con quattro scheletri. L’arcimago scese da cavallo, e alle loro spalle tese la sua staffa, da cui fuoriuscì un getto di luce bianca che li travolse e li fece scomparire nel nulla. La luce bianca aveva colpito anche me, ma ne ero stato soltanto attraversato, senza subire danni. Mi ritrovai, passata la luce non di fronte a un arcimago, ma a una maga.
“Salve paladino, giungi proprio nel momento del bisogno” disse.
Rimasi affascinato. La donna portava un cappuccio blu da cui fuoriuscivano pochi capelli biondi e mi fissava con due occhi azzurri molto intensi. L’armatura, era la stessa di quella di Jaina Proudmoore, che ben conoscevo dato che avevamo combattuto insieme. “Salve potente Dama d’Oro, senza il tuo aiuto non sarei tra i vivi”
“E senza il tuo di aiuto, non avremo potuto vincere la battaglia”disse sorridendo “Ma lasciamo i convenevoli a dopo” disse e continuò a ingaggiar duello coi ghoul. Lo stesso feci anche io.
E’ facile indovinare l’esito di quella battaglia: i non morti senza il loro capo si trovarono disorientati e li distruggemmo facilmente. Sul far della sera, col sole arancione che illuminava quella piana di cadaveri, uccisi l’ultimo nemico rimasto in vita, e tutti levammo in alto le nostre spade in segno di vittoria, urlando di gioia.
Circondati dai cadaveri arancioni, illuminato anche io d’arancione dal sole, che si era deciso a far capolino solo alla fine della giornata, levai l’elmo rinfrescato dal leggero vento della sera. Ero stanchissimo, solo allora mi resi conto del mio sforzo sovraumano e di come le mie forze mi stessero per abbandonare: inoltre avevo nuove ferite, le mie condizioni, insomma non erano delle migliori.
“Vai dal medico Alarath, paladino, e riposati. Domani parleremo” mi disse la Dama

Il signor Alarth e la sua schiera di medici erano entrati in azione fin dall’inizio della battaglia a ricevere feriti e curarli: io arrivai alle loro tende-ospedali tra gli ultimi e quindi lo stesso gnomo si prese cura di me. Dopo aver applicato bendaggi e usato pozioni mi rimandò alla mia stanza prescrivendomi un riposo assoluto.

Quella sera nelle taverne gli uomini parlarono di un misterioso paladino, sbucato dal nulla, che aveva abbattuto una marea di nemici con la forza della luce sacra e ucciso in due colpi nientemeno che il luogotenente di Sylvanas. Non solo tutti si domandavano chi fossi, ma anche se esistessi! Infatti il mio elmo non permetteva di vedere né il viso né i capelli, questi ultimi oltre che dal metallo erano coperti anche dalla cresta blu dell’elmo. Nell’ubriachezza si arrivò a dire che fosse il fantasma di Uther che aveva deciso di assistere gli umani, ma i più arditi, e più lucidi di mente, tentarono di assaltare la torre dove la dama risiedeva e trascorreva la maggior parte del suo tempo per chiederle qualcosa. Naturalmente i fanti di guardia non fecero passare nessuno. Il mattino seguente mi svegliò il signor Alarth:
“Buongiorno, paladino. Come vanno le ferite?”
“Buongiorno, ho ancora molto dolore…riesco a malapena a camminare e non posso fare movimenti bruschi…”
“Capisco…un’ultima applicazione di erbe e nel giro di una, massimo due settimane dovrebbe passare tutto.”
Applicò le erbe, poi mi salutò. Mi vestii con vestiti leggeri e feci un giro per la città. Passai all’armeria dove mi aggiustarono l’armatura, e girai un po’ per i negozi. Non era una città propriamente morta: c’erano si le guardie armate di tutto punto, ma la vita degli abitanti trascorreva normalmente anche se non si può dire che questa fosse serena e tranquilla. Eppure, pensai, questa città l’ho vista fumante dalle mura di Shadowfang: che fosse stato un trucco di Rashiak? Passeggiando, incappai proprio nella Dama d’oro. Quella mattina era vestita di un sol abito verde con dei bordi dorati, dorati come i suoi capelli al vento. Passeggiava normalmente, come ogni altro abitante con la sola differenza che lei era seguita da una decina di osservatori. Mi dissero poi che la seguivano sia per la sua bellezza sia perché era raro che uscisse dalla sua torre immersa tra libri e carte. Inoltre si diceva che sorridesse raramente e che avesse sempre uno sguardo freddo e severo. Incrociai il suo sguardo e mi chiamò:
“Vieni, Naemor. Dobbiamo discutere di alcune cose.” mi avvicinai e camminammo insieme verso la sua torre. Stavolta gli osservatori erano raddoppiati poiché in pochi secondi si era sparsa la voce che quel Naemor fosse il paladino della battaglia del giorno prima.
“Fanno male le ferite?” mi domandò.
“Molto, ma passerà. Ho subito di peggio.”
“Immagino ti starai chiedendo come sappia il tuo nome…”
“In effetti si…”
“Semplice: me l’ha riferito tuo fratello Rehliar.”
“Cosa??” dissi sorpreso “Ma allora è vivo! Sono tremendamente confuso…”
“Saprai presto tutto.”

Entrammo quindi nella torre e salendo una scala a chiocciola raggiungemmo quello che era il suo studio. Questo era a forma circolare, molto in disordine con pareti piene di librerie, ricolme di libri, alcuni dei quali erano anche rovesciati a terra.
“Oh non far caso ai libri…”disse con un cenno della mano “li leggo poi dimentico di metterli a posto”
Si sedette al di là della sua scrivania e mi fece accomodare dall’altro lato.
“Bene” disse “è giunto il momento di dirti come andarono le cose a Shadowfang…”

Lord Mario