Intervista a Franco Forte su Il segno dell’untore

L’autore Franco Forte

Il 17 gennaio 2012 Franco Forte, apprezzato scrittore di romanzi storici, direttore editoriale delle collane da edicola Mondadori (Gialli, Urania e Segretissimo), nonché direttore responsabile di importanti riviste quali la Writers Magazine Italia (www.writersmagazine.it) e la Romance Magazine (www.romancemagazine.it), tornerà in libreria con il suo nuovo romanzo, un thriller medievale ambientato nella Milano del 1576, all’epoca della grande peste bubbonica che falcidiò la popolazione ben più di quanto fece quella di manzoniana memoria. Ma di cosa parla esattamente questo libro, che appare fra i più interessanti fra quelli scritti da Franco Forte? Ecco una breve trama, giusto per inquadrare il romanzo.

Milano, 1576. Nel drammatico giorno della morte della moglie, consumata atrocemente dalla peste, il notaio criminale Niccolò Taverna viene convocato dal Capitano di Giustizia per risolvere un difficile caso di omicidio. La vittima è Bernardino da Savona, commissario della Santa Inquisizione che aveva il compito di far valere le decisioni della Corona di Spagna sul suolo del Ducato di Milano. Ma non solo: Bernardino aveva ricevuto l’incarico di occuparsi degli ordini ecclesiastici difficili, come gli Umiliati, messi al bando dall’arcivescovo Carlo Borromeo, mansione che ha reso ancora più difficili le relazioni tra potere secolare (Corona di Spagna) e potere temporale (Chiesa di Milano). Contemporaneamente, Niccolò Taverna deve anche riuscire a individuare il responsabile del furto del Candelabro del Cellini trafugato dal Duomo di Milano. Ma ben presto si accorge che la ricerca del Candelabro si rivela una pista sbagliata perché un altro oggetto, ben più prezioso, è stato sottratto: la reliquia del Sacro Chiodo della Croce di Cristo. In una Milano piagata dalla peste e su cui si allunga l’ombra della Santa Inquisizione, il notaio criminale Niccolò Taverna deve sfruttare tutte le sue straordinarie capacità investigative per venire a capo di questi due intricati casi.

Franco, una storia che appare davvero molto interessante, e forse per te un ritorno al thriller più canonico, per quanto all’interno dell’impianto del romanzo storico che ci hai abituato a costruire così bene.
Sì, in effetti Il segno dell’untore è una sorta di compendio di tutto ciò che ho imparato scrivendo prima thriller (come China Killer e La stretta del Pitone) e poi romanzi storici (da I Bastioni del coraggio a Carthago e Roma in fiamme). E mi pare di aver centrato il bersaglio, perché questo personaggio che ho costruito, il notaio criminale Niccolò taverna, è davvero affascinante e originale, te lo posso garantire.

Giusto, parlaci di lui. Chi è esattamente Niccolò Taverna?
E’ l’equivalente del 1576 di un moderno commissario di polizia. I notai criminali erano i magistrati che a quel tempo, a Milano, indagavano sui casi di omicidio, sui casi criminali e sulle ruberie, e lo facevano adottando tecniche investigative sorprendentemente moderne, per quanto i loro strumenti più efficaci per trovare i colpevoli fossero l’intuito, l’istinto e l’esperienza. Ma tutto ciò che i miei personaggi fanno, è rigorosamente documentato, e quindi sorprenderà vedere quali tecniche investigative possedevano.

Il segno dell’untore di Franco Forte

Facci qualche esempio.
Nel romanzo ce ne sono a bizzeffe e, come detto, non si tratta di mie invenzioni, bensì del risultato di un lungo lavoro di ricerca e documentazione che mi ha portato a scoprire come questi funzionari del Tribunale di Giustizia di Milano fossero davvero all’avanguardia, per ciò che atteneva le indagini di polizia. Per esempio, erano soliti portare con sé dei bastoncini con la punta ricoperta di cera, con i quali frugavano fra gli oggetti appartenuti alle vittime di un omicidio, o su ciò che trovavano sul luogo di un delitto. Perché? La nostra mentalità moderna ci spingerebbe a rispondere: per non inquinare le prove. Ma naturalmente, dato che non esistevano analisi scientifiche, a quell’epoca, il motivo è ben altro. I notai criminali usavano quei bastoncini per frugare con sicurezza (secondo le credenze dell’epoca) fra gli oggetti rinvenuti sui luoghi degli omicidi senza rischiare di toccare qualcosa che potesse essere stato infettato dalla peste, che nel 1576 stava decimando la popolazione di Milano. Credevano che se avessero toccato qualcosa imbevuto dell’umore della malattia, questo sarebbe scivolato sulla cera dei loro bastoncini, e con una semplice scrollatina se ne sarebbero liberati, senza rischiare contagi.

Questo mi fa capire quanto sia accurata la ricostruzione che fai di quel periodo storico.
E’ proprio così: nulla è lasciato al caso, e Niccolò Taverna si muove, mentre sviluppa le sue indagini, in una Milano ricostruita perfettamente nella sua coerenza storica, non solo ambientale, ma anche riguardo la vita di tutti i giorni: cosa mangiavano, come si vestivano, quali attività svolgevano le persone in quel preciso momento storico. A emergere, dunque, non è soltanto la storia di un magistrato che indaga sull’uccisione di un inquisitore (e sul furto di un oggetto sacro dal Duomo), ma anche la rappresentazione di un periodo storico molto difficile e per certi versi affascinante della Milano della seconda metà del 1500. La Milano sotto dominazione spagnola che vedeva contrapporsi il potere della Corona di Spagna e della Santa Inquisizione, a essa collegata, a quello del Soglio di Pietro, che vedeva nella figura dell’arcivescovo Carlo Borromeo (che poi diventerà San Carlo) un baluardo di primo piano nel conflitto tra potere secolare e potere temporale.

Ma quanto parte di thriller e di romanzo giallo c’è, ne Il segno dell’untore, rispetto al classico romanzo storico?
Non c’è una prevalenza dell’uno rispetto all’altro, bensì un continuo amalgamarsi e intersecarsi delle due cose. La ricostruzione storica e il respiro sociale e culturale dell’epoca sono da sfondo a una intricata indagine che deve fare i conti con gli strumenti limitati dell’epoca e la capacità del notaio criminale Niccolò Taverna di risolvere i casi grazie alla sua intelligenza e alla sua esperienza. Ma tutto si muove in armonia con il periodo descritto, rispettando la coerenza che qualsiasi buon romanzo storico richiede, pur offrendo al lettore l’impianto, le emozioni e il ritmo di un thriller attuale e congegnato nei minimi particolari.

La maggior parte dell’universo femminile gradisce in un libro, per quanto tecnico possa essere, una bella storia d’amore. In che modo riesci a soddisfare la voglia di Romance delle tue lettrici in Il segno dell’untore?
Le donne sono imprescindibili da qualsiasi romanzo, così come lo sono i sentimenti e la passione. In Il segno dell’untore questa tensione pervade tutto il romanzo, perché Niccolò Taverna, sposato con Anita Polidori, soffre il fatto che sua moglie sia malata gravemente di peste e in fin di vita. Vorrebbe aiutarla, offrire se stesso, pur di farla ritornare la donna solare e straordinaria di cui era innamorato,
ma la malattia la fa regredire e la trasforma nel fantasma di sua moglie, della sua Anita. Eppure, anche quando il mondo sembra sgretolarsi sotto i piedi di Niccolò, ecco che compare un’altra donna
nella sua vita, una fanciulla che lui crede un angelo, arrivato sulla terra per alleviare le sue sofferenze, ma che presto, si renderà conto, è una ragazza tenace e maledettamente scaltra, che riuscirà a fare breccia nel suo cuore e a imporsi alla sua attenzione non solo per il colore degli occhi, che lui paragona all’ossidiana, ma soprattutto per la sua frizzante intelligenza, che gli verrà d’aiuto persino nelle
difficili indagini che sta portando avanti sull’omicidio di un inquisitore del Santo Uffizio.
Insomma, Niccolò è un uomo, e come tutti gli uomini non può prescindere dalla passione che una bella donna sa scatenare dentro di lui…

Mondadori sta facendo una forte campagna di marketing e di promozione nei confronti di questo romanzo, che apre il 2012 per la collana Omnibus italiani. C’è una strategia precisa, dietro a tutto questo?
Sì, l’editore vuole iniziare il nuovo anno dando un segnale chiaro ai lettori di un grosso mutamento che ci sarà per i rilegati Mondadori. Il mio romanzo è il primo di un nuovo corso studiato con intelligenza, che vuole coniugare un prezzo più aggressivo e abbordabile dal pubblico rispetto al passato (15 euro anziché i soliti 20 euro), senza però svalutare i titoli che saranno presentati, puntando quindi alla massima qualità possibile dei testi da pubblicare. Sono felice di essere un po’ l’apripista di questo nuovo corso, e mi auguro che il mio notaio criminale riesca a farsi apprezzare dal pubblico per continuare a proporre le sue indagini mozzafiato.

C’è qualche collegamento fra questo romanzo e il tuo precedente, I bastioni del coraggio, anch’esso ambientato nella Milano del 1500?
Tra le due vicende sono passati trent’anni, e qualche personaggio lo si ritrova ancora ne Il segno dell’untore, per quanto non più come protagonista. Per esempio Anita, che ne I bastioni del coraggio era una delle eroine del libro, qui è la moglie di Niccolò Taverna, anche se la sua parabola narrativa risulta piuttosto breve. E lo stesso accade per altri personaggi, come per esempio il perfido Inquisitore Generale Guaraldo Giussani, di cui non ci eravamo sbarazzati ne I bastioni del coraggio. Un giorno o l’altro scriverò un romanzo che farà da collegamento fra questi due titoli, descrivendo che cosa è successo in quei trent’anni di distacco fra un libro e l’altro.

Per Il segno dell’untore hai fatto uno studio approfondito degli usi e costumi, non solo popolari, della Milano dell’epoca, con che mezzo in particolare hai svolto le tue ricerche?
Sempre sul campo, cioè nelle biblioteche (Ambrosiana e Sormani prima di tutto) e poi in una favolosa enciclopedia Treccani del 1948, 12 volumi interamente dedicati a Milano e alla sua storia. Raramente
Internet, perché anche se c’è parecchio materiale, sul web, non è semplice capire quando è affidabile o meno.

Una domanda personale. Pur essendo nato da un progetto specifico chi o che cosa è stata la tua musa ispiratrice per questo romanzo?
La mia musa ispiratrice, per tutti i miei romanzi, è sempre e soltanto una sola: mia moglie. Come dico nella dedica di questo libro, lei è la parte più luminosa della mia esistenza. E della mia ispirazione…

Deborah Desire