ULTIMO DEMONE – Frammenti di gelo

Il legno nudo e tremendamente caldo rendeva d’inalare un’aria rigida,che nel suo cammino s’inoltrava faticosamente d’ogni canto della stanza. Percepibile era ogni attimo faticante di quel propagarsi lento e denso. Ogni attimo di respiro coglieva un calore estraneo al gelo perenne,insaziabile divoratore del legno,fosse esso di foresta o di città,indispensabile padre su ogni vetta,su ogni acqua,su ogni sentiero che si trovasse al di fuori di quel focolare. Un padre generoso,più che mai volto a porgere le coperte ad ogni figlio suo. Tuttavia era piacevole,ché in quel cuore la sensazione d’essere accaldati s’alludeva al riparo,alla sicurezza.

Ultimo Demone

Un dolce piacere coinvolto nell’affaticata amarezza di tanto calore,più intenso al gelo che li aveva costretti per una lunga giornata. Dimora graziosa:laddove non v’era neve a farlo,il colore del legno si schiariva all’esterno pure garantendosi puro all’interno. Due piani sovrapposti al cui capo cingeva della paglia,perlopiù celata dal candore della neve. Tale abitazione sorgeva non lontana dall’altera torre centrale,che da quel luogo era ben visibile,ma si confondeva tra gli splendidi palazzi che l’erano confini. Una delle prime case che fossero costruite in città,un gioiello non antico,ma che comunque serbava le polveri e il passaggio degli anni. Timidamente s’incastonava nella sontuosità del centro cittadino,scorgendo non lontano varie abitazioni ad essa simili. La sua camera,elevata al primo piano,non era di umili dimensioni,ma non era lontanamente paragonabile alla maestosità dei luoghi reali,o dei palazzi fiancanti. Una finestra era l’unica apertura,volgente proprio verso la torre di Everral. Oltre al suo letto v’erano uno scaffale pressoché impolverato,un ripostiglio ed un tavolo circolare,cui attendeva qualche sedia. Legno ed ancora,il suo letto,coperte dello stesso colore,ma bianche se rivolte all’interno. Lunghi capelli biondi si cedevano alla comodità del sonno che si era espresso greve,ma che presto sarebbe evaso,destandolo. Come lui,tutti gli altri nel tepore delle case elfiche s’agiavano dormendo. La visione del cielo appariva confusa,forti tracce d’un blu tendente al nero laceravano le schiarite tonalità dell’alba. Ad ovest ruggivano ancora gli ultimi spasmi notturni,a minuti sarebbe sorto il sole. Chiara e limpida,nonostante la luce del sole non vi fosse ancora,si mostrava la volta,ai momenti in cui stava per svegliarsi. Dilungatosi in qualche mormorio,pose fine alla veglia ed aperse gli occhi,tal mattino d’un azzurro scuro e intenso. Stordito diede un’occhiata intorno. Il suo sonno era stato piacevole a differenza della giornata precedente,tormentata dagli oscuri ricordi demoniaci. Si sollevò dal letto e scrutò all’infuori della finestra,appagando la vista con le marmoree preziosità della torre di Everral e con le foschie dell’albeggiare. Raccolse la veste dorea e rossa fulgida,ch’oltre a qualificarlo arcimago rendeva la sua lussuosa ed elegante apparizione. Se ne vestì. Vide lo scettro grondante di potere e lo ignorò,poi tornò a sedere sul suo letto,osservando ancora fuori dalla finestra. Pochi attimi dopo la porta fu scossa,qualcuno aveva bussato.
– Chiunque tu sia,entra pure,sono sveglio. – disse Arius. Nel suo usuale abbigliamento,Medivh aprì l’uscio,portandosi all’interno della stanza. Arius rivolse lui lo sguardo con perplessità.
– Buongiorno Arius. Pensavo fossi desto,e lo sei. – disse il guardiano.
– Oh,si. Da poco,ma lo sono. Medivh,è da quando siamo qui che non ti ho visto. Dove sei stato?
– Alle navi,ad accudire Darlek. Cosa pensavi?
– A dire il vero nulla,mi comunicava solo stranezza il fatto che tu non ci fossi. Ad ogni modo… Darlek?Come sta?
– Non seguiterò a spiegarti gli attimi di sofferenza che lo hanno percosso in questi giorni,ma sappi che ora sta bene,privo di sensi,ma almeno non soffre. – il guardiano si sedette su una delle sedie,poggiando il bastone di fianco allo scettro dell’arcimago.
– Spiegati. Sofferenza?
– Si. Ma non più. Non avverte più dolore,ma la sua anima è ancora sotto la stasi che il demone le ha imposto.
– Capisco. Non appena saremo pronti partiremo per Lordaeron,lo condurrò assolutamente da questo “guardiano”.
– Ascoltami. Arlas deve averti accennato riguardo a lui. E’ il più forte di noi,lo era quando eravamo numerosi,lo è ora che siamo in tre. Non conosco il suo nome,ne ha avuti tanti nella sua natura non umana. So che ora è da qualche parte nei regni dell’est,in un tempio immenso ed antico. Possiede numerosi guerrieri e non sarà semplice giungere al suo cospetto.
– Mi è stato detto che sarà lui stesso a chiamarmi.
– Forse,se propizio sarà il momento,se propizio sarà il ricevente.
– Il ricevente?Già,dimenticavo il mio protagonismo.
– Oh no,Arius. Il tuo “protagonismo” è giustificato,sei in qualcosa più grande di te. E poi chi ne ha parlato?
– Lascia stare. – il mago discostò lo sguardo da Medivh,dirigendolo alla finestra.
– Dunque,con quello volevo intendere che questo guardiano è piuttosto raro a ricevere qualcuno,lo fa solo se sente che è davvero importante,figuriamoci richiamare… – Medivh osservava Arius,cercando di carpirne ogni emozione,passata che fosse.
– Vorresti dire che Arlas mi ha mentito? – il mago si voltò nuovamente verso il guardiano.
– No. Mi fido di Arlas come di nessun’altro,non ti avrà mentito. Se ciò che dice è vero significa che il terzo guardiano ti attende davvero. E credimi,se ti attende,è un grande onore e tuttavia un sinistro preavviso.
– Preavviso?A cosa?Più di quanto ho visto? – l’arcimago concentrò l’attenzione alle parole del guardiano,fissandolo con fermezza.
– Il demone,l’episodio sulla nave,Arlas,Darlek in quelle condizioni,continue battaglie… questo hai visto. Non ti prospettano che verso qualcosa di peggio.
– No Medivh. Ho visto anche altro. – Un accenno di rabbia tinse il tono della voce del mago,il cui sguardo si fece più aggressivo.
– Cosa? – un silenzioso terrore affievolì il parlato di Medivh.
– Demoni,ancora demoni. Adesso che ne ho veduti tanti sono certo che stanno invadendo questo mondo. Non erano semplici apparizioni inusuali,non episodi isolati.
– Ho sempre avuto quel timore. Avremmo dovuto capirlo.
– Beh,se non l’hai compreso tu che sei guardiano…
– Il demone che tormenta l’anima di Darlek,il demone che sembra guidare gli altri,non è un semplice demone. Ho il sentore che sia molto di più,al di sopra della mia natura,di quella di ogni creatura di questo universo.
– Ciò non mi interessa. In ogni caso non sono stato e non sono un pazzo nell’allertare i miei compagni. Le mie paure erano reali,soffocato da esse,ma non paranoico! – ancora rabbia ed aggressività rapirono sguardo e voce dell’arcimago.
– Non sei paranoico,né afflitto da manie di protagonismo:il pericolo è reale. Le precedenti invasioni erano sciocchezze,dotte dai capi della legione infuocata,hanno scalfito questo universo senza arderne le viscere. Al Maelstrom,ed anche prima,queste creature demoniache mi sono parse più potenti.
– Si. – il tono s’indebolì.
– Per ora non costituiscono una minaccia incombente. Ma temo che ciò che si allestisce nell’oscurità sia molto peggio. Comunque,dove hai visto gli altri demoni? – era evidente nel guardiano la preoccupazione.
– E’ una lunga storia,ma il luogo è poco lontano da Ulmar,un lago. – Arius pareva rigettare il ricordo dell’episodio.
– Ebbene,perché non mi dici in quale occasione?
– Va bene. – sospirò. – Era notte,un’esplosione,poi un fascio di luce. Scorgevo tre sagome offuscate dalla potente luminosità,una di esse aveva occhi roventi,di fuoco. – abbassò il capo,fermandosi per un istante.
– Conosco quegli occhi. I demoni più potenti celano un’anima ardente,il loro sguardo la rivela più d’ogni gesto.
– Solo per pochi attimi. – Arius si portò la mano sulla fronte,abbassando lo sguardo. – Poi sono scomparsi.
– Arius… cos’hai?
– C’è qualcosa che non ti ho detto. – mentre l’arcimago era travolto da una dolorosa serie di immagini,un celeste chiaro s’infondeva al di sopra di Everral,al di sopra di Northrend.
– Cosa?Stai male?
– NO! – gridò,senza accorgersene,nel mentre si contrasse a coprirsi lo stomaco. Una fitta lancinante lo dolorava – No!Fin da quella notte,fin da ieri,nella mia mente si sono alternati ricordi,miei e non miei. – prese fiato e tolse le braccia dal ventre.
– Cosa vuoi dire con ricordi non tuoi?
– Sono ricordi dolenti,demoniaci. Li sento miei,come se io fossi un demone.
– Quali ricordi di preciso?
– Uno è molto ricorrente. Sono solo,in un luogo che riconosco avvolto dalle tenebre. Ricordo d’aver avuto ali possenti,d’aver visto il mio sangue colare. Odo quei rumori,trafitto d’una ferita profonda,vivo quel dolore come attuale,come mio.
– Qual è il luogo?
– Una selva,riconosco ogni albero,ogni arbusto,ogni orma che non sia mia. – affannosamente strascicava quelle parole,per tacere quanto prima.
– Potrebbe essere un qualche incantesimo del demone che hai visto.
– No,io li sento profondamente miei. Sono un arcimago Medivh. Lo avvertirei se così fosse.
– Giusto.
– Io ho paura Medivh. Sono un demone?Cosa sono? – i suoi occhi s’illuminarono di fremito in attesa di una risposta. Il suo guardo fisso al guardiano non vi si discostava.
– Non sei un demone,tranquillo. Non capisco cosa sia. Comunque quando l’hai ripercorsi per l’ultima volta? – Medivh lenì il timore dell’arcimago
– Ieri,durante la battaglia. Ed ora,ma solo per pochi secondi. – si calmò. Il respiro tornò consueto.
– E’ un buon segnale. Non credo che avrai a che fare con ciò ancora per molto.
– Lo spero. – Acquietatosi,il mago intravide ciò che accadeva fuor dalla finestra:alcuni elfi già s’inoltravano per le fastose vie di Everral nel glorioso giorno dell’incoronazione.
– Non preoccuparti. Pensa ai tuoi veri ricordi. Non smarrirli,per quanto remoti essi siano.
– Perché mai dovrei? – sorrise,poi s’alzò per vedere meglio fuori dell’abitazione.
– Beh,potresti anche degnarti di guardarmi quando ti parlo.
– Suvvia. C’è di meglio da guardare qui.
– La torre?Eh,si!Prima di recarmi qui da te ho fatto un giro per la città.
– Nella notte?
– Certo. Dormivi serenamente.
– A proposito. Cosa ti ha spinto a venire?
– Probabile ch’io abbia riconosciuto che tu avevi qualcosa da dirmi. E poi ho pensato che qualcuno si sarebbe insospettito.
– Hai fatto bene. Ora però voglio vedere Darlek. – con lieve prepotenza si voltò ancora verso il guardiano.
– Quando ritorneremo alle Arshane,allora si.
– Bene.
– Penso sia ora di andare. Torna a riposare,ne hai bisogno. – Medivh si sollevò,fuggendo una rapida occhiata alla finestra,poi si guardò intorno.
– Perché vai via?
– Ho delle cose da fare. Ci rivediamo all’approdo. – Medivh afferrò il suo bastone e si diresse verso la porta.
– Si. Ma dubito che riuscirò a riposare adesso.
– Ahahah – rise senza girarsi
– Ehi…
– Ehm?Cosa? – il guardiano si fermo,dando ancora le spalle all’arcimago.
– Grazie.
– Di nulla. – subito dopo emise un sospiro,uscì dalla stanza e chiuse l’uscio dietro di sé. Arius scostò la vista dalla porta e tornò a sedere.
Grande fermento percorreva tutta Everral:ovunque preparativi in attesa dell’incoronazione. Frattanto Ushar’al si trovava in un’altra casa elfica,con alcuni compagni orchi. Nella momentanea dimora di Arius,invece,discutevano alcuni arcimaghi che v’erano stati assegnati,nessun’altro era presente. Lungo il corridoio le loro tonanti voci vibravano da udirsi anche nella camera di Arius. Accorgendosi di quanto fervore,già nei primi minuti dell’alba,coinvolgeva i cittadini che s’avvicendavano per le larghe vie,Arius decise di uscire,quantomeno per dare un’occhiata. Qualcosa però lo tenne fermo,seduto sul suo letto. Rimembrava,questa volta non sensazioni demoniache,ma lucidi ricordi della sua vita a Runforth. Poco fuori dalla fortezza cavalcava con Darlek,compagno conosciuto in infanzia. Una giovine mattina nella fresca brezza Kalimdorea,e i due arcimaghi silenti,non per smanie della mente,ma perché totalmente rapiti e gioiosamente soddisfatti da ciò che la natura tesseva facendone loro dono. Gli si parava dinanzi un paesaggio aspro e bellissimo ridotto alla purezza e alla collera degli elementi. I loro pensieri vagavano liberi,così come loro si sentivano. Li avrebbe attesi una delle tante scampagnate a caccia di troll,spensierata dolcezza dell’abitudine li raccoglieva in serenità. Eppure allo stesso tempo presagivano qualcosa d’importante ed unico che ancor più li stimolava a sognare,estraniandosi dalla piacevole realtà.

ULTIMO DEMONE


Arius non tenne conto del resto,si lasciò prendere dal ricordo. Riuscì a gustare il sapore di quella brezza,sposare lo sguardo a quei vivaci colori mattutini,a non udire quel silenzio sacro. I cardini cognitivi si mossero a Runforth,ed una nostalgia pregna d’intenso dolore si radicò in lui. Per pochi minuti rimase soggiogato dall’intensità del rimembrare,angosciato dal suo ledere. Frastornato ed immobile si lasciava imperare arrendevolmente. Nell’arco di tempo breve e denso,offrendosi di prosciugare la gioia d’un cuore lacerato e seminarne sofferenza,comprese quanto fosse amaro il ricordo,sia nell’oscurità dei demoni,sia nell’incuria della sua giovinezza,del suo tempo a Runforth. Univoco il responso di gaudi ed afflizioni…

Le vie si destavano e prendevano a brulicare d’elfi,ma anche d’umani e d’orchi. Molti avevano speso la nottata in una taverna,celebrando con la birra la vittoria su Ulmar. Intonando canzoni ed impregnandosi della gustosa bevanda s’erano condotti al tale giorno,ancora sbronzi e barcollanti o per le strade o ancora nelle taverne. Altri si riunivano a gruppi dal numero più o meno esiguo discorrendo sul valore del prossimo re,sulla vittoria,ma senza esternare troppo la corposa felicità che li pervadeva. Dovunque si respirava una frizzante aria di festa. Ai piedi dell’elevatissima torre sorgeva il palazzo reale,base della stessa,immenso e di mirabile sontuosità. Dinanzi a quel tratteggio di splendore,alla sommità delle scalinate che ducevano al portale del palazzo Ephsys aveva pronunciato il timido “si” il giorno precedente e v’avrebbe indossato la corona di Everral quel giorno per la prima volta. Qualcuno già si adunava nell’enorme piazza alla base della torre,qualcuno commiserava il rifiuto di Reyzhard e la sua insensata idea di onorare l’alleanza in quel modo.

Tra dubbi e insicurezze,tutta Everral si predisponeva al passo decisivo. Furenti destrieri giungevano dalle altre città del regno,Talaris,Gwommah e tante altre,sicché alle prime ore del mattino le vi e erano cosparse di elfi dei ghiacci. Botteghe si curavano di creare ogni sorta di decoro in cerimonia al nuovo re. Ogni abitazione s’addobbava a festa del giorno che sarebbe rimasto nella memoria della giovane nazione. Lievemente sfocato da nubi di passaggio,il sole era sorto appieno nel cielo di Northrend.

Arius scosse il capo,non più ammaliato dai suoi ricordi,squadrò la stanza e seppe rapidamente ricondursi al presente. Scissosi dalle proprie suggestioni,si sollevò e volle controllare ancora al di fuori della finestra:il numero di passanti era aumentato,ma capì che non era trascorso molto tempo,dato che gli arcimaghi stavano ancora discorrendo in corridoio. Ritrovandosi vestito e pronto per uscire,afferrò lo scettro dormiente sul tavolo. Poi aperse la porta e voltandosi a destra vide la provenienza del chiacchiericcio. I tre arcimaghi,uditolo socchiudere l’uscio della sua camera,gli si rivolsero.
– Ah,Buongiorno Arius! – disse colui parvente più anziano
– Buongiorno miei cari arcimaghi. – alle sue parole gli altri due annuirono in segno di saluto.
– Abbiamo visto il vostro amico uscire dalla camera. Siete sveglio da molto?
– Oh no,qualche decina di minuti. Ma prego,continuate pure la vostra discussione,io sto per uscire.
– E dove vi recate così presto? – chiese un altro degli arcimaghi,il più basso.
– Prima di assistere all’incoronazione intendo prendere un po’ d’aria. Buona giornata. – senza badare al saluto dei tre arcimaghi,scese giù per le scale e una volta fuori della casa montò sul suo cavallo,dirigendosi verso le mura occidentali di Everral,le stesse da cui s’erano ricondotti il giorno prima. Percorse un affollato intreccio di vie e in una dozzina di minuti raggiunse il portale.


Le guardie lo riconobbero e gli concessero il permesso di andare oltre le mura di Everral. Brandendo il pesante scettro cavalcò lestamente,proponendosi un luogo lontano dove poter abbandonarsi al suo pensiero,esonerarsi dal fardello della realtà per sentirsi libero ancora una volta. Assaporava i suadenti ed ultimi attimi di nostalgia,questa volta sciente di trovarsi a Northrend e non a Runforth. Un gelido vento,che sin dall’alba spirava da ovest,s’insinuava nelle sue carni,nelle sue ossa nonostante la folta veste. Ma il vento di gelo si trasformò per lui nella lieve brezza che lo carezzava quel giorno a Runforth. Controvento,dirigendosi verso Ulmar,la sua bestia lo condusse in un largo spiazzo incastonato tra le selve,divenute via via più fitte man mano che ci si avvicinava alla fortezza decaduta. Il luogo non era lontano da Ulmar,ma neanche troppo vicino e si presentava sgombro da creature,eccetto per qualche lupo in lontananza e i wendigo che occupavano le caverne affini. Dotto il cavallo fino al centro della piana ghiacciata,vi scese e,presa la bestia per le redini,la guidò nei pressi di uno dei boschi,al fine di legarlo. Poi tornò al centro,mentre l’assiduo vento lo scalfiva ed osservò ciò che aveva intorno. Reggeva lo scettro dorato negli istanti in cui la sua mente ed il suo spirito s’allinearono con il vigoroso flusso magico di quel luogo. Dapprima il suo respiro colse timidamente la freschezza di tale aria,dunque il suo animo,memore del recente ardore,percepì l’energia pullulare e vibrarsi,rendersi impero di cielo e terra. Nel vento risuonava l’eco di millenni ed ei folgorò ogni attimo del luogo,imprimendolo nella mente. Nel gelo un ancestrale fremito,voce dell’immenso potere in esso giacente,s’addensava reagendo al greve richiamo che l’arcimago imponeva. Avvertì la presenza della terra e poi della volta celeste,esautorò la natura del suo dominio e fu in grado di manovrare ogni cosa. Le sue vene si conobbero grondanti d’energia,le sue mani traevano le redini di quello stupendo equilibrio. Unicamente la fiamma eludeva il ricorso cui Arius era complice:provandone l’erodere fu prossimo a ritrovarla dentro di sé,mentre il suo corpo rabbrividiva per l’intenso potere che traboccava nel suo essere. Scaraventò lo scettro in terra con violenza frattanto che emergeva il frutto della più completa perdizione all’energia,della più assoluta devozione alla magia. Gli occhi dell’arcimago rilucevano d’un fuoco innaturale,il suo corpo si vestì d’un’aura devastante. Un indicibile dolore,fuso ad un’avidissima sensazione di forza lo divorò dall’interno,inoltrandosi nelle viscere,facendo preda della sua essenza. Scorse rapida l’immagine di Seflar,arso dalla veemenza della triade,ma la ignorò subito,fin troppo posseduto dalla magia. Ad ogni secondo l’energia cresceva,s’aggrappava ad ogni residua parte delle sue membra. Ma l’incantesimo era sul punto di rivelare tutta la sua potenza. D’un tratto una tremenda esplosione infuocata evase dal suo corpo,ondate ardenti si propagarono con vigore,incuranti di ciò che incontravano. Laddove egli,avvolto dalle fiamme,aveva evocato il potente incantesimo,il ghiaccio era sciolto,la terra scura a trame rossastre,segno che il fuoco le aveva devastate. Lentamente il fuoco si ritirò dall’arcimago,abbandonò le sue spoglie che tuttavia non presentavano segni o ferite. Non schiavo,ma dominatore della forza richiamata,nonostante la sua mente e la sua anima ne fossero rapite,la sua abilità in quell’arte lo rendeva invulnerabile a tutto ciò che venisse da sé stesso. Gli occhi ripresero il vivido colore azzurro,nel suo sguardo s’obliavano le ultime scie infuocate,così come l’aura creatasi in precedenza si rarefece. A poco a poco riprese coscienza del suo stato e si guardò intorno. La sua brama era soddisfatta. L’aspra malinconia del suo rimembrare lo aveva spinto lì,nel mezzo dei ghiacci,ad affrontare il vento,a ritrovarsi nella magia. Ebbro di potere era riuscito a perseguire ciò che secondo lui lo avrebbe riavvicinato a quel tempo lontano,a Runforth. Le sensazioni rievocate però si dileguarono con il fuoco,rendendo vano il suo tentativo di tornare in qualche modo ad un passato ch’egli amava. E ciò che rimase fu ancora un’insidiosa nostalgia tarda e ostile ad allontanarsi. Chinò il capo,disilluso dalla crudele natura fautrice del tempo. La sua vista si dimenò lungo l’ampiezza del campo bruciato,ma con sorpresa notò che alcune esili tracce di ghiaccio erano permase. L’animo gli suggeriva di non abbandonare il luogo,di restare e tentare ancora di lambire il suo passato. Ma la vista l’obbligava ai resti della sua tenacia:macchie immacolate sulla terra arsa. Versò una lacrima e la donò a quei frammenti di gelo,lì sparsi,che avrebbe dovuto abbandonare per sempre all’oblio del tempo,li vide scintillare al sole,li bramò,ma si convinse di rinnegarli,oramai volto ad oriente,allo spirar futuro del vento.

Arius