Il Paladino cap. 2 – La difesa di Southshore parte 2

“Allora, qual è l’ultima cosa che ricordi?” domandò la Dama.
“Ricordo Relhiar che cercava di farsi strada tra i ghoul per raggiungermi, ma che poi è stato bloccato da Rashiak. Poi ho perso i sensi.”
“Bene. Relhiar uccise i ghoul, ma non riuscì a raggiungerti, poiché prese a duellare con il signore delle tenebre. Il loro scontro fu breve. Dopo due minuti squillarono i corni dei non-morti: lo stesso Rashiak si rese conto che qualcosa non stava andando per il verso giusto, perché non erano i corni che inneggiavano alla battaglia quelli che suonavano. Senza degnare d’ uno sguardo Relhiar iniziò a correre fuori le mura, dove si trovava la parte del suo esercito che aveva fatto squillare i corni.

Naemor il paladino – audiolibro


“Dove corri, codardo??” urlò tuo fratello. Ma il generale nemico non gli fece caso e uscì dalla fortezza. O almeno provò ad uscire perché rimase come paralizzato laddove si ergeva il cancello, ora solo un cumulo di macerie. A quel punto nella fortezza entrarono una marea di cavalieri scintillanti di bianco, che come un’onda di mare si propaga trascinando con sé tutto, coi loro cavalli spazzarono via i ghoul in meno di un secondo e tale era la furia con la quale guidavano i loro destrieri che dovettero vibrare colpi ben poche volte. Infatti i non-morti, venendo travolti e poi calpestati dai cavalli, non avevano altra via di scampo che la morte. Io stessa iniziai a lanciare incantesimi a ripetizione. Rashiak fu sommerso dall’ondata di cavalli, ma riuscì a salvarsi e a ordinare la ritirata con le poche truppe che rimasero all’infuori delle mura. Non pensammo a inseguirli, ma a uccidere solo tutti quelli che si trovarono all’interno della fortezza e che duellavano ancora con le poche tue truppe sopravvissute. In seguito quelle stesse truppe fuggiasche, più rinforzi da Undercity, la loro capitale, ci hanno assediati, ieri. Riuscimmo, quindi, a salvare gran parte dei tuoi e a mettere in fuga le truppe di Rashiak. In seguito, ispezionammo i cadaveri e ti trovai ancora vivo ma molto ferito. Anche tuo fratello lo era, ma quando tornammo a Southshore il medico Alarth lo rimise in sesto in men che non si dica, mentre credo che già ti abbia spiegato che con te ci volle qualcosa in più. Dopo la battaglia, prendemmo i corpi degli umani e li seppellimmo nel cimitero qui a Southshore, mentre quelli dei non-morti furono bruciati. Della fortezza non rimane quasi più niente.”
“Perché a Southshore, così lontano da Shadowfang?”
“Perché seppellendoli a Shadowfang avremo corso il rischio che i non-morti potessero farli resuscitare per farli combattere al loro fianco. Che doloroso destino! Adesso, invece, riposano in pace…”
“Capisco…”
“Altre domande?”
“Certo…come mai Relhiar non è qui?”
“Ha avuto una strana reazione…è stato solo tre giorni qui, e ti è stato anche vicino, ma poi ha preso le truppe restanti di Shadowfang ed è partito; non chiedermi per dove, perché non lo ha detto. Dove credi possa essere andato?”
“Non ne ho la minima idea…certo è che non è da lui, anche se conoscendolo, credo che si farà vivo al più presto. Inoltre non sono preoccupato, è un valido guerriero e sa gestire al meglio i suoi fanti. Un’altra cosa, lei come sapeva che eravamo a Shadowfang? Da quel che mi risulta nessuno sapeva che noi eravamo lì! Inoltre sa spiegarmi il motivo del perché dalle mura della fortezza, guardando verso est, quindi verso Southshore, vedessi del fumo nero innalzarsi?”
“Innanzitutto, dammi del tu” disse sorridendo “abbiamo un lavoretto da fare insieme, del quale ti parlerò dopo.”
“Va bene, mi dirai anche il tuo nome allora?”
“Certamente, ma ora rispondo alla domanda: in realtà noi non sapevamo che eravate là, ero semplicemente di passaggio con i miei cinquanta cavalieri…”
“Solo cinquanta cavalieri?” dissi sbalordito.
“…inoltre ero a caccia di Rashiak, poiché era da mesi che non lo vedevo. Adesso so che ti teneva sotto assedio. In tempi come questi non c’è più il continuo scambio di informazioni che intercorreva tra le varie città. E’ già molto che noi di Southshore e quelli di Hillsbrad, poco distanti, scambiamo merci e informazioni almeno una volta al mese. Per quanto riguarda il fumo, lo vedevamo anche noi, e ci chiedevamo anche noi cosa fosse. Evidentemente era un giochetto di Rashiak per tenervi sotto uno stato di terrore non indifferente.”
“Ha avuto quel che si merita…”
“Bene, adesso passiamo a una questione molto delicata, che riguarda anche te.”
“Di cosa si tratta?”
“E’ venuto anche il momento di dirti chi sono. Qui mi chiamano Dama d’Oro e credono sia semplicemente una arcimaga. In realtà mi chiamo Doroty Prinewind, apprendista e poi erede di Antonidas.”
“Ma quindi sei…”
“Esatto. Sono l’arcimago supremo del Kirin Tor.”
“Incredibile! L’arcimago supremo non solo è il comandante del Kirin Tor, governo dei maghi, ma è anche il mago più potente di tutti. Si dice che abbia poteri che nessuno immagina.” Pensai.

Improvvisamente tornarono nella mia mente immagini che fino a quel momento avevo creduto di aver dimenticato: nitide, ricordai alcune case che si affacciavano lungo una via, una via molto frequentata con persone che camminavano e parlavano tra di loro. C’era anche qualche guardia. In mezzo a quella via, il cui silenzio era rotto soltanto dal vociare degli abitanti, due bambini di circa 8 anni giocavano allegramente impugnando una spada di legno ciascuno e zompettando tra gli abitanti, che sconcertati da tanta insolenza si scostavano rimproverando quei due diavoli.
“E’ la fine per te Relhiar!”
“No, sei tu che non hai scampo Naemor!”
Il piccolo Naemor, che non si differenziava molto in stazza dal fratello Relhiar, biondo e un po’ più basso rispetto all’altro che aveva capelli castani, ciò detto disarmò con un rapido fendente il suo “nemico” e lo stese a terra puntandogli la spada al collo.
“Ora, sir Relhiar per lei è giunto il momento di pagare il fio di tutto quello che ha fatto! Nel nome di Lordaeron la condanno a morte!” disse urlando. Poi i due presero a fissarsi e scoppiarono entrambi in una risata, con Naemor che aiutava il fratello a rialzarsi.
“Non sarò mai più forte di te” disse Relhiar.
“Non dire così, dobbiamo migliorare ancora se vogliamo essere paladini”
“Ciao…” disse qualcuno.

“E’così” disse la Dama.Tornai subito nella realtà. “Sono stata eletta dopo la morte del mio maestro, ma non sono riuscita a far nulla per salvare la città dalla magia nera di Archimonde. Quei giorni furono terribili: si faceva tutto in fretta e furia, e ci organizzammo male per contrastare l’evocazione dello stesso stregone. Quando Archimonde arrivò a Dalaran i consiglieri del Kirin Tor mi esortarono alla fuga, e io seppur triste partii, proprio mentre la città cadeva a pezzi. Mi dissero che dovevo scappare per dare un futuro non solo al governo dei maghi, ma anche agli umani. Jaina era già approdata a Kalimdor, quindi la seguii da sola, affrontando il mare partendo dal porto di Pyrewood e poi vagabondando per le aride terre del Barren e del Dustwallow. La trovai dopo circa tre mesi di viaggio, uno dei quali passati in mare. Arrivai in città stremata, mi riposai qualche giorno, poi partii di nuovo per Lordaeron. Devi sapere che io e Jaina siamo grandi amiche: abbiamo studiato insieme a Dalaran, anche se per poco, perché sono più grande di lei di un paio d’anni. In quanto regina di Lordaeron, mi affidò una precisa missione: ad Andorhal, tra le rovine della città e i putridi non-morti, è nascosto un tomo; non un tomo magico, un semplice testamento, e io dovevo recuperarlo, aiutata da un cavaliere del Silver Hand, poiché questo tomo è protetto sia da magia bianca che dalla luce sacra. Mi disse di cercare te, così partii con molti uomini e iniziai a ispezionare il Lordaeron. Passando da cittadella in cittadella la rinforzavamo e lasciavo uomini per la protezione della stessa città e dei suoi abitanti. Iniziai a dar guerra a varie truppe di diversi generali non-morti, ultimo quelle di Rashiak, ma la nostra resistenza è sempre stata fragile. Dopo tre anni di battaglie ti ho finalmente trovato. Mi chiedo cosa penserà adesso: tre anni e nessuna notizia da parte mia…forse pensa che io sia morta. Comunque, molto probabilmente il tomo è di Uther Lightbringer, che morì in quella città ed è seppellito nelle vicinanze. Jaina lo vuole, crede che possano esserci scritte cose utili. Ma la cosa che mi domando è questa, come mai ha scelto te? Perché proprio Naemor e non Relhiar o qualche altro paladino, se ce ne sono?”
“Non lo so, abbiamo combattuto diverse volte insieme, può darsi che sia per il grado che occupo nel Silver Hand, anzi occupavo…”risposi.
“Che grado?” domandò incuriosita.
“Gran Maresciallo dell’ordine, insieme ad Arthas…”
“Ora capisco! Il Gran Maresciallo è praticamente il braccio destro di Uther, eppure non avevo mai sentito il tuo nome prima d’ora a corte…”
“E’ una lunga storia…”
“Racconta…”

“Sono nato a Stormwind durante la prima guerra tra orchi e umani. Dopo pochi mesi dalla mia nascita Stormwind fu distrutta, ma la mia famiglia scappò nelle terre di Lordaeron, stabilendosi a Try’s Hand: qui vivemmo in santa pace, lontani dalle vicissitudini della seconda guerra, che iniziò sei anni dopo la prima. Nonostante fossimo lontani dalla guerra, io e Relhiar, nato un anno e mezzo dopo di me, avevamo sviluppato uno strano istinto guerriero non comune ai bambini della nostra età. Infatti, eravamo soliti giocare a farci guerra con spade e scudi da combattimento…”
“E poi iniziaste anche ad avvicinarvi alla magia, o mi sbaglio?” mi interruppe lei, con uno sguardo dolce e sorridente e anche un po’ beffardo.
“Cos..” iniziai a dire, ma poi un altro ricordo riaffiorò nella mia mente, nitido come non mai…

“Non sarò mai più forte di te” disse Relhiar.
“Non dire così, dobbiamo migliorare ancora se vogliamo essere paladini”
“Ciao…” disse qualcuno.
I due bambini si voltarono, e videro una bambina più bassa di loro, bionda, con occhi azzurri.
“Ciao!” disse Relhiar “e tu chi sei?”
“Già, non ti abbiamo mai vista qui!” aggiunse il fratello.
“Mi chiamo Doroty e sono venuta qui con i miei genitori, abito proprio nella casa affianco alla vostra”
“Uao, giocheremo insieme allora!”
“Ma cos’è quel bastone che porti in mano? Sei forse zoppa?” disse ingenuamente Naemor.
“Ma no! Sono una maga, anche se per ora so fare solo pochi incantesimi!”
“Bello! Non abbiamo mai duellato con un mago!”
“Inizierete adesso!”

Tornai alla realtà.
“Ma certo! Tu sei la bambina che giocava con noi da piccoli! Ora capisco perché il tuo nome non mi suonava nuovo…” dissi ridendo.
“Esatto, te ne sei ricordato! Anche io me ne sono ricordata poco tempo fa, mentre Relhiar pare abbia dimenticato tutto.”
“Ma se non sbaglio, andasti via solo un anno dopo.”
“Sì, partii per iniziare a studiare a Dalaran e a intraprendere la vita come maga. Ma ora continua il tuo racconto.”
“Va bene, dov’ero rimasto? Ah sì…A circa dieci anni, di nascosto dai nostro genitori, ci facemmo fare delle vere cotte di maglia e spade e scudi in ferro. Migliorammo molto le nostre tecniche di combattimento, anche se evitavamo di andarci pesante e ferirci. Uther Lightbringer, dopo aver fondato l’ordine del Silver Hand nella cappella Alonsus a Stratholme, mentre passava in una delle vie a Try’s Hand dove eravamo soliti guerreggiare, osservò come sapevamo combattere. Proprio quel giorno l’intera città fu attaccata da ogre dell’orda, e il capo di Try’s Hand fu costretto a chiamare Uther in persona con il suo Silver Hand. Uther tra l’altro era già stato nella cittadella pochi mesi prima per sedare una rivolta di braccianti filo-ordaioli; ma in quella occasione io e la mia famiglia ci barricammo in casa e non riuscimmo a vederlo in azione. Contro gli ogre andò diversamente. Inizialmente mia madre e mio padre decisero di chiudersi nuovamente in casa, ma quando un ogre sfondò la porta e iniziò a distruggere l’abitazione, io e Relhiar fummo costretti a prendere l’armatura e combatterlo. Riuscimmo a trascinarlo fuori di casa, ma questi chiamò i suoi compagni. In quel momento, arrivò Uther che li uccise tutti e ci disse che saremmo stati ricompensati. Il giorno dopo, estinta la minaccia, il sommo paladino tornò a casa nostra e, dopo aver chiesto l’autorizzazione ai nostri genitori, ci portò con sé per arruolarci come paladini. L’addestramento fu duro, e inoltre per la prima volta io e Relhiar fummo divisi. Gli anni passarono così, trascorrendo le giornate ad allenarci, tra duelli semplici e tornei, sotto la vigilanza costante di Uther. Finché non arrivò il giorno in cui ci fu assegnata la missione che, se portata a compimento, ci avrebbe permesso di passare ufficialmente a paladini. Fu anche il giorno in cui io e mio fratello ci rincontrammo dopo molti anni. Una banda di orchi stava rivoltandosi contro alcuni umani di Durnholde, che li tenevano prigionieri, dato che erano ordaioli reduci dalla seconda guerra. Fummo inviati io e Relhiar a sedare la rivolta, ma, una volta giunti sul posto, trovammo la città in fiamme, con orchi e umani che combattevano. Il nostro intervento fu vano: pochi orchi morirono, gli altri fuggirono sotto il comando di Thrall, mentre la città fu distrutta. Tornammo così a mani vuote da Durnholde. Dopo questa disfatta, Uther decise di imbandire un torneo tra tutti gli apprendisti paladini. Fu allora che feci la conoscenza di Arthas, che a quei tempi si allenava a Ironforge con Muradin Bronzebeard. Solo i primi tre classificati al torneo sarebbero diventati membri dell’ordine a tutti gli effetti. Siccome ero il miglior discepolo di Uther, nessuno avrebbe potuto soffiami la vittoria, ma andò diversamente. Non dimenticherò mai quel giorno. C’era anche il re in persona, venuto a vedere il figlio in gara. Lightbringer, nell’accoglierlo, presentò me e Relhiar a lui dicendo:
“Ecco, Terenas: questi sono i miei due migliori allievi, dopo tuo figlio Arthas, ovviamente.”
“Bene, spero che oggi possiate dare il meglio di voi. Se siete i migliori allievi di Uther, diverrete ben presto paladini e insieme a mio figlio diverrete ottimi custodi del regno.”
Dalle sue parole capii già che Arthas era matematicamente paladino. Ma lo smacco più forte che ebbi fu qualche giorno dopo, alla vigilia della finale: arrivammo, come previsto io e Arthas, dopo che io avevo battuto mio fratello in semifinale. Uther mi disse, prima di scendere in campo sotto lo sguardo della folla, del Re e della corte, queste parole:
“Naemor, mi raccomando vacci piano. C’è il re oggi qui, non vorrei che subisse una tremenda delusione.”
“Cosa? Non penserà mica che io…”
“Ascoltami, lo so benissimo che sei più forte di lui ma…”
“Non se ne parla…” dissi deciso, e entrai nella arena. C’erano proprio tutti, e ora che ricordo c’era anche Antonidas, quindi…”
“Sì, c’eravamo anche io e Jaina, ricordo ancora…”
“Infatti sì, la vidi tifare come un’ossessa per Arthas. Il duello durò a lungo, ma pensai molto alle parole di Uther. Solo gli attenti osservatori notarono come Arthas si sforzasse molto ad attaccare, ma che stesse sprecando solo energie, mentre in realtà non mi faceva nulla. Batteva costantemente il suo martello sul mio scudo, affaticandosi parecchio. Vinse per uno sporco trucchetto: siccome non combattevamo con gli elmi, calci e pugni erano vietati. Ma in un momento di confusione mi diede un pugno in testa, all’altezza della nuca, che mi stordì per un bel po’: non dimentichiamoci che erano guanti in piastra e un pugno dietro la nuca fa male. Allora riuscì a disarmarmi con facilità e vincere.”
“Come? Ricordo che tutti dissero che ti eri accasciato perché ferito al braccio con cui reggevi lo scudo, dopo una delle sue martellate!”
“Non è vero, uscii dall’arena con lacrime di rabbia e ancora oggi attendo il momento di vendicarmi. Mi ripresi, però, quando vidi i miei genitori comunque orgogliosi di me e mio fratello, perché eravamo riusciti a coronare il nostro sogno, nonostante fossimo dei contadini. Decisi di non tornare più sulla faccenda e iniziai la nuova vita da paladino, comunque molto dura anche in tempi di pace. Viaggiavo molto, ma combattevo poco e in periodo di pace anche un paladino si riduce a fare il diplomatico. Col passare del tempo, io restai un semplice paladino, Arthas no, lui divenne Gran Maresciallo. Restai comunque nell’esercito personale di Uther, mentre perfino Relhiar chiese e ottenne il comando di uno tutto per sé. Insomma, pur essendo il migliore non diventai nessuno. Poi, tre anni fa cambiò tutto con l’intervento del flagello. I non-morti iniziarono ad assediare i vari villaggi e in quel momento fui sempre a fianco del mio maestro Uther, combattendo con lui: l’intervento del Silver Hand era richiesto in moltissimi villaggi e combattemmo duramente, fin quando Arthas passò ai nemici. A Stratholme assistetti alla litigata tra lui e Uther, nella quale si discuteva di cosa fare di fronte agli abitanti umani che si trasformavano in non-morti. Tentai anche io di distogliere Arthas dal suo intento, ma alla fine né Uther, né io né Jaina riuscimmo a convincerlo. Dopo la strage andammo lì per contare i morti: tutta la città era caduta, ma apparentemente, dei non-morti nessuna traccia. Io e Uther, dopo aver saputo da Jaina della partenza di Arthas verso Northrend, andammo dal re con l’intento di richiamare in patria il ragazzo e ci riuscimmo, ma ad un costo altissimo. Quando tornò, era in tutto e per tutto un nemico e chiese la corona del regno. Dopo la morte del re, affidarono a me la protezione dell’urna contenete le sue ceneri e andai ad Andorhal. Là mi aspettava Arthas con le sue truppe, che assediarono la città. Due miei compagni morirono nel tentativo di difenderla, ma quando rimasi da solo con le mie truppe arrivò Uther:
“Naemor, è giunto il momento di ripagare per gli errori che ho fatto.”
“Cosa vuole fare, maestro?”
“Dai a me l’urna e tu scappa, salvati!”
“Non lo farò mai! E’ giunto il momento della vendetta per me!”
“Ti vendicherai, ma non oggi. Sapevo che Arthas era uno stupido, perché ho puntato su di lui, perché? Ma ora è giunto il momento di pagare… salvati tu, che stai andando in contro a morte certa! Lascia a me il tuo posto!”
Alla fine accettai, e dissi addio al mio maestro. Proprio al momento di lasciarci disse:
“Un’ultima cosa, adesso io ti nomino Gran Maresciallo dell’ordine del Silver Hand, cosa che avrei dovuto fare già anni fa. Ora va, figliolo, e mettiti in salvo.”
“Addio, maestro.”
Così andai, e mentre Arthas temporeggiava per attaccare, il sommo paladino scrisse quel tomo, immagino, che ha ben protetto e conservato. Poi… sai com’è andata…” dissi con voce triste “Uther morì miseramente e Arthas prese le ceneri di suo padre. Io intanto, trovai Relhiar nei pressi di Durnhole una settimana dopo la morte del capo del Silver Hand e insieme camminammo verso casa, verso Try’s Hand. Passò un’altra settimana, pensavamo che nel vederla ci avrebbe portato gioia, ci saremmo ripresi e saremmo tornati a combattere pieni di vigore, e invece… La vista fu dolorosa: la città era in fiamme, ogni cosa bruciava. Raggiungemmo la nostra casa, e dei nostri genitori trovammo solo i corpi senza vita… Quel giorno ho giurato di uccidere Arthas con le mie stesse mani! Dopo quei giorni arrivarono mesi disastrosi. Solo quando Arthas partì per Northrend le cose si rimisero apposto. I non-morti entrarono in competizione tra loro, e noi umani, approfittandone, ci riprendemmo un po’. Io e mio fratello riuscimmo a formare un piccolo esercito, e con quello prendemmo possesso di Shadowfang facendola divenire la nostra base principale. Ma perdemmo ogni contatto con altri gruppi di umani e, da quel che ho capito, anche col tuo…”
“Sì infatti…tornai a Lordaeron proprio mentre i non-morti combattevano tra di loro, e come voi girammo tutta Lordaeron aiutando i vari villaggi…finché non ti ho trovato. E questo è tutto.”
“Una storia intensa e ricca di emozioni.” disse la Dama. “Non dimenticarti mai del tuo passato se aspiri ad un futuro migliore. Adesso, andiamo a riposare entrambi. Quando i feriti si riprenderanno, organizzeremo una spedizione ad Andorhal e recupereremo il tomo.”

Lord Mario