ULTIMO DEMONE: Everral

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Arsa e ardente giaceva quella terra lontana,gelida dello stesso gelo che cercava di dimenticare gli errori della sua sacra madre,di cancellare le tracce del suo tremendo vincere e dell’ira che pose nei suoi figli.

Ultimo Demone

Accumulandosi quei fiocchi di neve tentavano di rendere ossequio ai corpi raggelando l’animo dei vivi sicché provassero onta nell’esserlo. Era notte illune e tiepida,gli accampamenti andavano mormorando mentre Arius rifletteva su ciò che era stato accomunando la sua memoria a quella terrena,rifletteva sul sacrificio,rifletteva sullo scopo. Aelhtur e Napoleonardo,sommi generali di ciò che restava degli eserciti orcheschi ed umani cercavano di dormire seppure avevano impresse le immagini della battaglia recente. Arius sedeva solitario affianco ad una roccia posita affianco al lago,osservava incerto le vette dietro le quali si trovava il nemico. Scrutando ogni roccia,ogni albero,ogni traccia di sangue provava a capire,ad immedesimarsi in tanto dolore. Ma vi trovava solamente ceneri di una terra piangente,di un mondo che ormai cadeva. Pensava a Darlek,a come fosse apparso il demone,a come gli avesse rubato l’anima. Perennemente ricordava le parole di Arlas e quelle di Medivh cercando una risposta alla morte di tanti uomini. Ormai non si trattava di salvare Darlek,si trattava di una guerra lacerante che in lui muoveva dissidio. Si trattava di un’invasione,di un qualcosa al di sopra di tutti,un destino scelto per porre fine a quel mondo. Ma tutto ciò era chiaro… il suo ruolo così lontano e così nascosto non gli appariva,torturandolo della sua inconsapevolezza. Le tenebre si fecero fitte. Ebbe versato qualche lacrima in nome di Seflar,tornando sui suoi oneri. La luce della luna era oscurata e nubi di tempesta si pronunciavano allettando l’oscurità finché Arius non riuscì a vedere nulla. La sua forza cadde e non riuscendo a reggere a poco a poco chiuse le palpebre addormentandosi.
– Non capisco – disse Aelhtur
– Mio generale… forse vi assentate da molto dalle terre dell’est – rispose Misthar
– I non morti… la legione… pensavo fossero stati sconfitti
– Infatti la legione è crollata per sempre ma il flagello ha continuato a sopravvivere.
– Capisco. Non eravate voi gli uomini di Kael’thas?
– E’ una lunga storia,mio generale. Ma dato che questa notte sarà lunga e lenta sarò felice di raccontare ad orecchie disposte.
– Certo,ascolterò.
– Decenni fa il popolo elfico era unito sotto il nome di elfi del sangue e il suo sovrano era Kael’thas appunto. Poi però giunsero i naga. La loro alleanza era preziosa perché sopravvivessimo,ma non tutti erano disposti a tradire gli umani per seguire tali creature viscide comandate dal peggiore dei nemici degli elfi:Illidan. A quei tempi eravamo poco più di 700.000 e un piccolo gruppo non condivideva le scelte del principe. Nessuno però aveva avuto il coraggio di parlare. Nessuno si era posto il problema. Tutto finché non si erse un generale a contraddire il principe viziato. Egli era Fergus,cui nome e tempra furono forgiate da anni di battaglie. Ricordo ancora il giorno,il sole era alto e i generali sedevano a concilio per decidere le sorti di quel popolo così martoriato. Fu lì che Kael’thas mostrò al suo popolo la scelta che aveva compiuto prevedendo l’alleanza con i naga. Fergus si oppose,era l’unico che aveva ragione di parlare senza che gli si frenasse la lingua. Io ero al suo fianco e impugnavo la spada che impugno tutt’ora. Vidi i suoi occhi,il modo in cui esponeva la sua legge al resto degli uomini. Sembrava un re,o almeno l’unico degno di esserlo tra coloro che c’erano quel giorno. Proponeva di trovare una nuova terra e fondare un nuovo regno abbandonando i naga al proprio destino,ma ciò non piaceva al principe,ne a coloro che in atto di servilismo tacevano. Il dibattito si era prolungato fino a quando Kael’thas non ordinò che Fergus venisse giustiziato. I suoi soldati erano come dei figli e non avrebbero permesso che il loro padre venisse ucciso. Coloro che erano dalla parte di Fergus si scontrarono con quelli che erano contro. Per evitare un massacro il principe decretò che chiunque avesse voluto seguire Fergus nella sua malaugurata e disperata ricerca di una terra avrebbe potuto farlo. Fui il primo a seguirlo. Partimmo in trecentomila per giungere qui,a Northrend. Fondammo Gwommah,Talaris e una nuova capitale cui demmo il nome di “Everral” ovvero “città promessa”. Lo stesso nome fu dato a questa terra che a poco a poco diveniva nostra. Sembrava che il nostro sogno si stesse realizzando:una landa tutta nostra dove avremmo cresciuto i nostri figli e coltivato le nostre tradizioni,ma purtroppo poco dopo capimmo che era davvero qualcosa di onirico. I non morti,le bestie che tanto odiavamo erano giunte fin qui e non solo,il principe traditore Arthas controllava northrend. Solo qui,in questo lembo di terra la sua mano non era giunta con abbastanza forza. Uno dei suoi ufficiali,Roxar,aveva preso il controllo delle armate in questo luogo. Arthas è ignaro della nostra presenza ma se non riusciremo a sconfiggere Roxar egli lo verrà a sapere e ci sterminerà. L’uomo che hai visto morire in battaglia dai folti capelli candidi era Fergus,il simbolo del sogno elfico,il vero re di queste terre. Ephsys e Reyzhard sono suoi figli,perciò non meravigliarti del loro dolore. Parlami di te generale,siete stati una salvezza per noi. Ho visto il vostro compagno morire,mi spiace,tanto.
– Grazie Misthar. Sono stato troppo lontano da questi regni dell’est per sapere tutti questi accaduti. Anche Napoleonardo ne rimarrà sorpreso. Di me posso dirti che comando ciò che resta degli umani a kalimdor. Theramore non era più un posto sicuro e tutti i miei uomini desideravano tornare nella propria terra natia. Ci siamo uniti agli orchi e abbiamo attraversato l’oceano. Noi tutti abbiamo bisogno della nostra patria proprio come voi.
– Capisco. Chi erano i due maghi?
– Parli di Arius e Faridor… sono due dei maghi più forti,dell’ordine di Runforth,cari amici di Seflar il quale ha mostrato immenso valore su questo campo.
– Quello più giovane mi è parso strano. Perché si è ritirato al lago?
– Sta subendo perdite di molti amici ed è coinvolto in qualcosa più grande di lui. Penso di capire lo stato in cui si trova. Il suo nome è Arius.
– Bene. Ho una domanda da porvi mio generale.
– Parlate,nobile cavaliere.
– Non ce la faremo mai ad eliminare Roxar da soli. Ci aiuterete?Qual è la vostra meta?
– Dobbiamo raggiungere le rovine di Dalaran. Non è una scelta questa che io possa fare da me.
– Esattamente – aggiunse Napoleonardo appena tornato dalla sua tenda al fianco del suo fedele Lord Exus e Ushar’al.
– Salve generale – replicò Aelthur.
– Ben arrivato – rispose Misthar scrutando il suo volto. Le tre cicatrici che indossava gli erano immagine di gloria e onore,ma Misthar temeva che potesse capire unicamente la guerra. In passato gli orchi avevano causato agli elfi non pochi problemi. Era preoccupato,ma restava fisso ad osservarlo senza nascondersi dallo sguardo del generale.
– Non abbiamo alcuna fretta. Possiamo restare qui e aiutarvi contro Roxar a patto che… – replicò Napoleonardo
– Ma signore… più tempo impieghiamo più difficile sarà raggiungere Dalaran – lo interruppe Exus.
– A patto che i miei uomini abbiano rifugio e provviste necessarie a 3 mesi di guerra. Exus – disse indicandolo – non provare mai più ad interrompermi.
– Straordinario. I vostri uomini avranno rifugio nella mia città e avranno anche le provviste che cercano. Che gli dei vi proteggano. Seguitemi. Andiamo ad Everral. – Exus si allontanò abbassando lo sguardo e quando fu solo abbatté una roccia con la sua ascia. Gridava mentre cercava di distruggere tutto quello che trovava. L’ira lo prese in possesso e finalmente soggiogato Exus andò al lago.
Napoleonardo ordinò ad Ushar’al e agli altri di seguirlo,insieme ad Aelthas,preannunciando un rifugio finante e soprattutto caldo.
– Capo,dov’è Arius? – chiese lo sciamano infreddolito
– Non ne ho idea. Lascialo solo. La morte del suo amico deve averlo sconvolto.
– Chiedo il permesso di cercarlo,capo.
– E va bene Ushar’al. Tu rifiuti la carne e il tetto,ma attento perché non spesso avrai l’opportunità di servirti di tali privilegi.
– Grazie – sussurrò timidamente lo sciamano.
Si avviò verso il lago,sapeva che avrebbe potuto trovarlo lì. Si chiedeva anche dove fosse finito Exus. Camminò e tra gli alberi coverti di neve uccise un orso,lo scuoiò per farne altri vestiti e ne mangiò le carni ancora fresche di sangue. A lento passo si avvicinava al lago e osservando l’oscurità che circondava il luogo provava brividi lievi. D’un tratto balzò:vide le nubi in terra,vide che si oscuravano al passaggio. Non aveva mai visto la nebbia prima. Quando capì che non era nessuna diavoleria,continuò a muovere e raggiunse il lago. Circondato da rocce arcane ed ancestrali,decorato di alberi altissimi. Poi vide Arius che sedeva su una di quelle rocce,abbandonatosi all’ombra,con le palpebre chiudenti e il viso rattristato.
– Non mi sei mai piaciuto,sciamano.
– Exus… perché sei qui?
– Per uccidere il mago. Ne ho abbastanza di questo viaggio senza scopo. Uccidendolo finirà tutto e,contaci,molti orchi mi seguiranno ribellandosi a Napoleonardo.
– Sei impazzito. L’ira che ti assale sorge in qualche luogo?
– Nel luogo della pazzia.
– Esattamente,Exus. Calmati,perchè so benissimo che non riesci ad aver ragione di te adesso.
– Cosa diamine?!? – Arius si svegliò.
– Arius… ero venuto a cercarti,ma insieme a te ho trovato lui.
– Grazie. Di cuore. Ma cosa succede?
– Nulla,Exus è impazzito. Potresti addormentarlo?
– Certamente… – il guerriero sfoderò la sua ascia e tentò di colpire il mago,ma prima che ci riuscisse la magia gli sottrasse il libero arbitrio bloccandolo del suo fare.
– Riportiamolo agli accampamenti,si stanno muovendo verso la città elfica per trovare rifugio.
– Bene. – rispose il mago.
Così dicendo mossero verso gli accampamenti trasportando Exus abbastanza in fretta da raggiungere la coda dell’esercito umano.

Sospiri o terra al suo giungere,l’anneghi tra i tuoi sussulti mentendola in lamenti,l’assali tarda e vile dei tuoi gemiti,l’odi affannosamente strisciare nella tua canizie e ti fingi madre a coprirla nel tuo grembo. Gioisci al suo morire trepidante,gli infausti figli a le rimetti e gloriosamente ella ti si oppone,lucendo ancora e ardendo eterna al gelo,essenza unica e fonte d’eoni ricchi e copiosi,lontana e pronta alla tua sorte attende che tu l’insegua nel profondo. Risplende vivida e immortale,tace nello splendore assurdo e nella dorea coltre ch’ella si fa,piange tra lacrime preziose da occhi gemmati,contempla e siede finchè a sfiorarne attonita i sacri veli e dense spoglie. Trarrai o terra in fiamme ogni dolcezza,assentirai ai richiami e ti farai sua serva e in lei rinascerai fugace e solida,fatua e robusta,fragile e tenace.
Codesta andava osando,mostrandosi unica ed altera,così come parve agli occhi dei suoi ospiti. Immensa tra i suoi palazzi dorati e le vie maestose e fatta quasi fosse un castello ma erroneamente enorme,ricca di fasti e lumi e al suo fulcro una torre centrale altissima visibile anche dall’asprissima Ulmar,attorniata dai cumuli oscuri e decadenti. Eccola,si ergeva e si mostrava un sogno,quello che gli elfi si erano conquistati col dolore e il sangue della propria gente. Oro e argento perfettamente sposi s’arrampicavano per le mura e le rocche,in quella fitta foresta timidamente scolorita dalla luce ch’essa stessa era,e ch’essa stessa donava a quell’asprezza. Alcune tinte violacee echeggiavano,alcuni stormi diamantini si poggiavano su quelle torri così elevate,quasi vette ancorate alle proprie sorelle di fredda lava che ambiscono di possederne l’onere e il fardello. Striscianti fiumi rocciosi si attardano lentamente sussurrando d’essere terreni tra le divinità.
S’adorna di cime luminose e avverte i brividi del gelo alle sue porte,s’adopra ad accrescerle e il divenir maestoso delle mura s’avverava intimorendo coloro che incauti attraversavano il suo potere ed imponeva d’elevare il guardo e farne meraviglia.
Quelle stesse mura furono oltrepassate dagli eserciti orcheschi e umani,ambedue meravigliati e sconvolti a quella visione.
– Stupefacente – affermò Aelthur.
– Non quanto il numero di quelle bestie – replicò Napoleonardo.
– Ahahahah,sempre così simpatico? – chiese curioso Misthar
– Certo,è il suo forte – disse felice il generale umano
– Beh,penso che diventeremo grandi amici.
– Io lo spero – aggiunse Napoleonardo.
– Senza dubbio – continuò Aelthur.
– Come vi sembra la mia città?Everral,non la trovate unica?
– Solo le città imponenti del mio regno decaduto possono paragonarsi. Mi domando come abbiate fatto in così poco tempo.
– Magia,Aelthur,magia dal lavoro di noi elfi.
– Ho trovato sempre poco di magico negli elfi. Creature fragili che usano nascondersi sia nell’oscurità,sia nella luce stessa del sole e chiamano i loro nascondigli “magia”.
– Misthar,non badare a ciò che dice Napoleonardo. Sta scherzando ed è il suo modo di avvicinarsi a qualcuno.
– Ti sbagli Aelthur,l’unico modo con cui mi avvicino a qualcuno è con un’ascia impugnata fermamente. – Gli altri due risero,Misthar osservandolo un po’ perplesso,un po’ allietato dal suo modo di fare.
– Bene,questo è il centro di tutta Everral,i vostri uomini troveranno rifugio ai piani superiori. Dubito che la battaglia abbia risparmiato abbastanza elfi da impedirvi la permanenza. – Cadde un tetro silenzio,erroneamente spezzato dal rumore fragoroso delle armi e delle corazze.
Arius ed Ushar’al,che ormai usava chiamare solamente Ushar,portandosi dietro Exus fecero il loro ingresso da ultimi nella imponente Everral,stupiti anch’essi dalla meraviglia elfica. Arius si chiedeva il perché di quella permanenza,sospettando che i due generali avessero deciso di aiutare questi elfi nelle loro faccende. Non lo avrebbe permesso. Rimaneva troppo poco tempo per salvare Darlek,giungere a Dalaran e conoscere la tanto attesa verità.
– Stupenda.
– Si,Arius,lo penso anche io.
– Grazie per essere venuto. Ormai pensavo di non avere più amici.
– Non preoccuparti,l’ho fatto con piacere.
– Non ti ho mai ringraziato per l’aiuto che mi hai dato con Darlek.
– L’hai appena fatto,mago. Sono felice di averti aiutato. Ascoltami:non ho idea di quali pericoli si mostreranno,ma io credo nella tua causa e ti affiancherò finché non l’avrai portata a termine.
– Grazie infinite,Ushar. Ma che succede?
– Per tutte le tempeste! Stanno curando i sopravvissuti qui,all’aperto.
– Sono pochi ma comunque abbastanza da non avere spazio nelle abitazioni. Napoleonardo ed Aelthur laggiù,raggiungiamoli.
– Bene – rispose Ushar’al accennando un sorriso. Raggiunsero i due generali.
– Ah eccovi finalmente. Come mai state trasportando il mio ufficiale in quel modo?
– Era diventato piuttosto aggressivo generale,fuori di sé e ho dovuto placare la sua ira…
– Si,Napoleonardo,stava cercando di uccidermi.
– Non preoccuparti Arius,a volte perde il senno ma in realtà è un bravo orco. – Disse Napoleonardo.
– Non ne dubito. Mi chiedevo Medivh e Faridor che fine avessero fatto.
– Probabilmente hanno già preso posto insieme ad Angar,Deawil e Flarios. – rispose Aelthur.
– Ah,salve generale elfico,sono contento di potervi parlare senza dover badare alle spade che tentano di trafiggermi. – così Arius salutò Misthar.
– Pare che tu sappia nascondere bene i tuoi dolori,mago. – azzardò il generale elfico
– Non quanto voi,generale. Non è forse morto il vostro re in battaglia?
– Era quella la morte che avrebbe preferito ed io l’onoro non con lacrime false ma con il dolore e la forza che mi avvolgono.
– Bene. A quanto ho ben capito Napoleonardo ed Aelthur hanno intenzione di permanere fino alla sconfitta di Roxar… – una lacrima aspra e dolce traversò il viso di Arius mentre finiva di pronunciare.
– Si Arius,dopotutto i non morti sono anche nostri nemici e mi pare giusto soffermarci ad aiutare questo popolo in difficoltà – disse Aelthur.
– No,miei generali,non abbiamo abbastanza tempo. Più tardo sarà il nostro arrivo a Dalaran,minori saranno le speranze di poter fare qualcosa.
– Ma Arius… – intervenne Napoleonardo.
– Se è questa la tua scelta non posso contrastarti. Andate pure via e abbandonateci qui in balia dei ghiacci e dei nostri nemici. – aggiunse Misthar.
– No. Non lo permetterò,non permetterò che il sacrificio del mago e di mio padre siano stati inutili. – Ephsys li raggiunse. La piazza in cui discutevano era gremita di guerrieri
feriti che venivano amorevolmente curati dalle proprie donne. Reyzhard,suo fratello,osservava impassibile e tramava che qualcosa stesse per accadere. Ben presto le vie ancor di più brulicavano di soldati,che riposte le armi cercavano di capire cosa stesse accadendo,e,conoscendo la sorte del loro sovrano,si domandavano chi fosse ora la loro guida. Le donne oltre a prendersi cura degli uomini preparavano una cena piuttosto tarda,quasi una colazione,perché a poche ore il sole sarebbe stato oriente. Il freddo sembrò non penetrare quelle mura,il calore dei cuori elfici bastava a renderli immuni. D’un tratto si riunirono in folla ed Ephsys si avvicinò ad Arius a cantargli sfida.
– Il sacrificio del mago sarà stato inutile se tu abbandonerai queste terre al loro destino – disse Ephsys
– Ti sbagli. Sarà stato inutile se non avrò sfruttato l’opportunità che ci ha concessi di proseguire il viaggio.
– E lo proseguirete,dopo averci aiutato a sconfiggere quelle bestie.
– Posso capire il dolore che provi per tuo padre… – il principe si soffermò ad eludere le lacrime.
– No,non penso tu possa capirlo. Ti chiedo solo pochi giorni. Rendici salvi e te ne saremo grati in eterno. Faremo in modo che il tuo nome regni alto su queste terre e sugli elfi che mio padre guidava.
– Mi dispiace,Ephsys. Il tempo afferra e sottrae senza renderne richiamo.
– Ti propongo una sfida Arius,se dovessi vincere tu allora sarete liberi di andare via senza portar pesi sulla coscienza,senza che il vostro nome venga infangato,ma se dovessi essere io a vincere,resterete e ci aiuterete a sconfiggere Roxar. Accetti? – d’un tratto la folla tutta,i generali e gli uomini presero attenzione attendendo la risposta dell’arcimago.
– Giovane principe,voglio darti quest’opportunità. In cosa consiste la sfida?
– Che sia tu a scegliere. La spada o le arti magiche.
– La spada. – prima pensò ad alta voce,poi sussurrando porto le parole all’udito dei presenti. – La spada! – ripetè più chiaramente.
– Bene,Arius. Trova la tua spada e tieniti pronto ad affrontarmi qui,tra poco.
– Bravo figliuolo. – Misthar gli appoggiò una pacca amichevole sulla spalla.
Arius si diresse verso Ushar’al e gli orchi,cercando tra di loro la sua spada,mentre Ephsys,continuamente osservato dal fratello,si dirigeva dalla parte opposta.
– Perché una scelta così stupida? – chiese l’Ushar’al,ponendogli una spada in parte erosa dal gelo ma nutrita dal forte canto dei venti che ad Everral rendevan lode.
– Per questo Ushar,perché mi fosse data una spada.
– Cosa vuoi dire?
– Grazie per avermela trovata così in fretta.
– Di nulla. – sorrise,capendo cosa intendeva nella sua ambiguità.
Brandita l’arma,una spada che spesso usava anche lo sciamano,si diresse verso il suo avversario,al centro della folla. Il principe elfico s’adornava della sua lama ricurva incastonata di gemme preziose,lucida e del colore della notte,talvolta misto a quello del ghiaccio. Prima d’uso si scrutarono,obliando l’uno lo sguardo nell’altrui,cercando ovunque tracce di lotta o sigilli impressi nella loro carne,ordendo,nell’evanescenza di tali attimi di rivelare ciò che il destro cela. Come se un vortice avesse incrociato le loro viste,come se si fossero già sfiorati,come se il suon dell’armi fosse già udito. Arius impugnava ferma la sua lama,tale che potesse ben capir l’attacco,che potesse ben percepire la difesa. Fatua tintinnava,segretamente tremolante e intrisa d’acqua che in gocce s’allungava dalla spada. La spada di Ephsys s’approssimava alle danze inquieta ma impassibile,rodendo nell’anima e silente nel corpo leggiadro ma possente. Il primo spiraglio di luce oltraggiò la bionda chioma,all’unisono con l’arma di Ephsys. Arius schivò il colpo,ma nel farlo fu costretto a cadere,mentre Ephsys sferrava i suoi colpi. Si rialzò quanto più in fretta poteva,evitando anche il terzo. Ephsys indietreggiò,mentre Arius con l’impeto che più avrebbe dolto cercò di affondare nelle carni del principe,riuscendo a colpire solamente quell’avida spada. Ed essa rispose stridendo,e unite nell’ onere comune,lottando in quel vortice di sguardi,le due lame s’affrontarono con grazia e osata forza. Colpo dopo colpo,la voce s’affievoliva a entrambe ed immolandosi tra le mani dei propri possessori s’erodevano. La tempesta era iniziata e inoltrata da quelle nubi che scontrandosi covavano fulmini sempre più violente,sempre più rumorose. Per un attimo la tempesta si placò e le corazze ebbero tregua,l’un dall’altro si allontanarono di qualche passo.
– Questo è nulla amico mio. Non esigere ciò che ti è precluso,mago.
– Vedo sudore sotto il tuo elmo. Il tuo fisico è fragile.
– Forse,mago,desideri che io ti dia una dimostrazione più chiara.
– Certo.
– Cercherò di procurarti poco dolore.
Arius tacque e ansimando riprese a seguire lo sguardo di Ephsys. Questa volta fu lui ad assalire,ritrovando ancora una volta la spada che questa volta però,pareva ben più rapida. Più rapido si dimostrò anch’egli,finchè Ephsys non mosse troppo in fretta. Sinuosamente danzando la sua spada s’era insita nel braccio destro del mago che fece cadere la sua arma,ponendosi l’altro braccio sulla ferita.
– Mi aspettavo di peggio,mago.
– Ahahahah.Bravo.Ti sei guadagnato la mia fiducia. Sembri mantenere le tue promesse in poco tempo.
– Parte di quella ferita era diretta a Roxar – disse il principe porgendo la mano ad Arius per aiutarlo a sollevarsi. Ritirandosi la folla lo accolse,ringraziandolo per avergli dato una speranza.
– Grazie. Un giorno mi darai la rivincita. – Arius sorrise,voltandosi poi verso i suoi generali.
– Bravo,ragazzo. Tuo padre sarebbe stato contento. – disse Misthar,congratulandosi con Ephsys.
– Tu non sei mio padre. Non lo sarai mai. Cerca di capirlo! –
Accennò un urlo Ephsys appena voltatosi da ricambiare il sorriso del mago. In breve si allontanò dalla folla e ceco s’inebriava delle sue lacrime. Privo di volontà si diresse verso il campo di battaglia notando spade e sangue lievemente coperti dai granuli di neve. L’ultima avversione notturna in conflitto con la luce esordiente della giovine alba s’avvolgeva intorno e anche Arius,abbandonando la folla s’era diretto nel luogo di tanta morte. Oscura e tacita,nei riflessi violacei,nella coltre ombrosa e nell’intenso accrescersi avanzava,sorridendo inferma ai riverberi d’acqua. Osando tentacoli di nube e divorando ogni essere giaceva e si ritirava in veste degli spiragli che foravano i suoi veli. Obliquo lo spiraglio di luce apparve e perpetuandosi fino a sposare il terreno scisse l’aere. D’oscuro induta,protraendo i veli della sua veste,si sciolse densa e torcendosi evaporava soffice,danzando s’attorniava e traeva elevazione sottacendo nobile nel suo reame. Tra i fumi e i gorghi nella danza vorticosa,soave penetrava nelle vene e truce ne segnava i passi. Tormentata eludeva gli attimi e la spirale scindeva,ergendosi l’oriente madre sfiorava l’onde e i rivoli,le serpentine spoglie statue ormai d’avverse coltri,intrise ormai d’avverse aeri,templi ormai d’avversi dei,con grazia eterna e lode soggiunsero sfuggenti e volteggiando ignote le loro labbra si lambirono traente l’attimo.
Mentre le fuggenti immagini del re e del mago morenti apparvero ad Ephsys ed Arius miranti traverso lagrime il duplice riflesso in quel riverberarsi d’animi.

Arius